Un consiglio dei ministri cominciato in forte ritardo, ieri sera, e finito verso mezzanotte e un quarto, dopo che per l’intera giornata Movimento 5 Stelle e Lega hanno litigato su tutto. Dal decreto legge «crescita» alle celebrazioni del 25 Aprile alle inchieste che coinvolgono da un lato il sottosegretario alle Infrastrutture, Armando Siri (Lega) e dall’altro la sindaca di Roma, Virginia Raggi (5 Stelle). Una riunione di governo cominciata, verso le 20 (invece che alle 18), senza la gran parte dei ministri grillini, a cominciare dal vicepremier Luigi Di Maio. Tutti presenti, invece, i ministri leghisti, capitanati dall’altro vicepremier, Matteo Salvini. Più battagliero che mai, in particolare sulle cosiddette norme «Salva Roma» infilate dai 5 Stelle nel «decreto Crescita» e contestate dal Carroccio. Alla fine il provvedimento è stato approvato, ma dell’articolo sul debito della Capitale sono passati solo alcuni commi. La battaglia si sposta in Parlamento. Un compromesso che evita, per ora, una probabile crisi di governo.
Che si era profilata nelle fasi precedenti il consiglio dei ministri. Quando infatti si è scoperto che il motivo dell’assenza di Di Maio era che il capo dei pentastellati stava registrando la trasmissione tv DiMartedì su La7, il leader della Lega, per tutta risposta, lasciava la riunione del consiglio dei ministri, usciva da Palazzo Chigi e ai giornalisti annunciava l’approvazione del «decreto crescita» con i ministri presenti (per i 5 Stelle solo Barbara Lezzi, Elisabetta Trenta e Alberto Bonisoli), stralciando le norme sul «Salva Roma». «Quando si parla di crescita — tuonava Salvini — è importante esserci. Lo stralcio l’ho concordato con chi c’è». Non è vero, replicavano i 5 Stelle. «Non è stato ancora discusso nulla», facevano trapelare dall’interno di Palazzo Chigi, mentre anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte era irritato per la mossa irrituale di Salvini. Poi verso le 21 la notizia che Di Maio era in arrivo: «Non c’è nessuna ripicca e non ci facciamo dispetti. Finisco qui e li raggiungo», spiegava in tv. Conte, che per tutto il giorno aveva mediato, poteva tirare un sospiro di sollievo. Ma è stato un attimo, poi la tensione è risalita.
La riunione di governo, presente anche Di Maio, è ripresa in un clima avvelenato. Al centro sempre le controverse norme «Salva Roma». Di Maio, prima di arrivare a Palazzo Chigi, aveva detto: «Questo provvedimento non mette un euro sulla Capitale, dice solo che le banche devono chiedere meno interessi per il debito del Comune. Se non passa è solo una ripicca verso i romani». Ma Salvini e i suoi ministri tenevano il punto. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, secondo indiscrezioni, ha garantito che il «Salva Roma» è «a costo zero». Un’assicurazione che però non è bastata alla Lega. Che, al termine del consiglio dei ministri rivendica: «I debiti della Raggi non saranno pagati da tutti gli italiani, ma restano in carico al sindaco». Ribattono i 5 Stelle: «È un punto di partenza, siamo sicuri che il Parlamento saprà migliorare il provvedimento che, a costo zero, fa risparmiare soldi non solo ai romani ma a tutti gli italiani».