Niente «reddito di cittadinanza» a chi non è italiano. Non appena è circolata la bozza del decreto legge che prevedeva l’erogazione del sostegno ai poveri (fino a 780 euro al mese) anche agli stranieri residenti in Italia da almeno 5 anni, il governo ha fatto marcia indietro. «L’obiettivo è darlo agli italiani e ai lungo soggiornanti che abbiano dato un grande contributo al nostro Paese – ha precisato il vicepremier Luigi Di Maio -. Non stiamo dunque parlando dei 5 anni che ci sono nella bozza, che va cambiata». E poi fonti della presidenza del Consiglio hanno fatto sapere che, pur «rispettando le norme europee e la Costituzione, stiamo inserendo vincoli per gli stranieri, come la residenza di oltre 10 anni e non avere precedenti penali, che porta la platea di italiani che percepiranno il reddito di cittadinanza a oltre il 90%».
Eppure la soglia dei 5 anni era stata indicata dallo stesso governo nel Documento programmatico inviato a ottobre alla commissione Ue, dove si specifica appunto che del sussidio «possono beneficiare i maggiorenni residenti in Italia da almeno 5 anni», un paletto ritenuto in linea con le normative anti discriminatorie. Ma evidentemente la necessità di comprimere la spesa, dopo i due miliardi di tagli concordati con Bruxelles (da 9,1 a 7,1 miliardi nel 2019) ha indotto il governo a correggere il tiro. Secondo la relazione tecnica alla bozza di decreto, infatti, con il requisito dei 5 anni di residenza sarebbero state circa 200 mila le famiglie composte di soli stranieri beneficiarie del reddito su un totale stimato di un milione 375 mila nuclei, assorbendo 1,2 miliardi di spesa all’anno su 8,1 miliardi, cioè il 15%. Troppo per il governo. Bisognerà però vedere se raddoppiare il requisito della residenza supererà il vaglio dei prevedibili ricorsi alla Consulta e alla Corte europea di giustizia.
La questione stranieri non è l’unica a complicare il percorso di definizione del «reddito di cittadinanza». Secondo le ultime bozze, le domande per il sussidio si potranno presentare dal primo marzo agli uffici postali ma poi sarà l’Inps a valutare i requisiti e poi a erogare l’assegno caricandolo su una tessera tipo bancomat. L’importo andrà da un massimo di 500 euro al mese per un single a un massimo di 1.050 euro al mese per una famiglia di 5 componenti di cui due minorenni. A questo sussidio base si potrà sommare un’integrazione di 280 euro per le famiglie che vivono in affitto. Un single quindi potrà arrivare al massimo a 780 euro mentre la famiglia di 5 componenti a 1.320 euro. L’assegno pieno, però, andrà solo ai nuclei con un Isee, indicatore della situazione economica familiare, pari a zero. Gli altri, invece, riceveranno la differenza tra i redditi che hanno e quelli previsti dal reddito di cittadinanza. Il governo stima che in media ogni famiglia dovrebbe prendere circa 500 euro al mese, al massimo per 18 mesi, rinnovabili. Per ottenere il reddito i requisiti saranno severi: Isee annuo non superiore a 9.360 euro, reddito familiare, compresi eventuali trattamenti assistenziali, inferiore a 6 mila euro per un single; patrimonio immobiliare massimo di 30 mila euro (esclusa la prima casa) e mobiliare di 6 mila.
Nonostante ciò, si attendono almeno un milione di domande, mentre più di 300 mila sono quelle che potrebbero essere presentate dai lavoratori per accedere alla pensione anticipata con «quota 100» (almeno 62 anni d’età con 38 di contributi), che è l’altra riforma che sarà contenuta nel decreto legge in preparazione. Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, dice che verrà costituita una «task force» con l’Inps per far fronte alla valanga di domande che arriveranno non appena il decreto legge sarà approvato (tra una o due settimane). E annuncia che con lo stesso provvedimento verrà cancellato retroattivamente l’aumento di 5 mesi scattato dal primo gennaio del requisito per andare in pensione anticipata. Si tornerà quindi a 42 anni e 10 mesi di contributi. Saranno anche reintrodotte, promette Durigon, «Opzione donna», ma da luglio, e l’«Ape sociale», scadute lo scorso 31 dicembre.