«Noi vediamo la Belt and Road Initiative come un’iniziativa pensata dalla Cina per l’interesse della Cina, siamo scettici sull’adesione italiana». Firmato Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. È netta l’avversione dell’amministrazione americana per la trattativa tra Italia e Cina sull’adesione alla Nuova Via della Seta, il grande progetto geopolitico e commerciale di Xi Jinping per rilanciare la globalizzazione (con molte caratteristiche cinesi). Il negoziato è in dirittura d’arrivo e potrebbe essere concluso durante la visita di Stato di Xi a Roma, prevista per il 22 e 23 marzo, la cerimonia di firma del documento potrebbe essere a Pechino, quando tra il 25 e il 27 aprile si svolgerà il secondo «Forum Belt and Road Initiative».
L’Italia sarebbe il primo Paese del G7 a salire sul treno della Via della Seta, che in cinese si chiama Yi dai Yi lu (Una Cintura Una Strada). Il nostro obiettivo è di far collaborare le imprese italiane ai grandi cantieri per infrastrutture che stanno sorgendo sui canali della Via, dall’Asia al Medio Oriente, all’Africa: investimenti per 900 miliardi di dollari, dice Xi. E si parla molto dei nostri porti dell’Alto Adriatico, Trieste soprattutto, come approdo della rotta marina verso l’Europa.
Da mesi gli americani hanno sollevato il tema con ogni esponente politico o governativo arrivato in missione a Washington dall’Italia. Ora l’intervento scoperto di Garrett Marquis, che dice al Financial Times: «Noi vediamo la Belt and Road Initiative come un’iniziativa pensata dalla Cina per l’interesse della Cina». Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale spiega: «Siamo scettici sulla possibilità che l’endorsement del governo di Roma porti benefici al popolo italiano». Poi un monito severo: «Questa adesione potrebbe finire per danneggiare la reputazione globale dell’Italia nel lungo periodo». Per Washington non bisogna contribuire alla «diplomazia cinese delle infrastrutture» che potrebbe essere destabilizzante.
Replica immediata di Pechino: «Giudizi assurdi. Come grande Paese e grande economia, l’Italia sa dove si trova il suo interesse e può fare politiche indipendenti», ha detto il portavoce degli Esteri. Roma rischia di essere presa tra i due fuochi del nuovo confronto strategico tra le superpotenze rivali Usa-Cina. E anche la posizione in Europa si fa delicata, con un Consiglio Ue fissato per il 21 marzo a Bruxelles per discutere i rapporti con la Cina.
L’idea di aderire alla Via della Seta non è una novità del governo guidato da Giuseppe Conte (che potrebbe venire a Pechino a fine aprile). Il progetto è stato perseguito già dai governi Renzi e Gentiloni. Nel 2017 Gentiloni venne a Pechino, unico leader di un Paese G7, per partecipare al primo Forum «One Belt One Road»: Xi Jinping lo ringraziò ricevendolo come ospite speciale.
Pechino ha appena comunicato che 67 Paesi hanno già sottoscritto la «Belt and Road Initiative», tra gli europei solo governi «periferici», come Grecia, Portogallo e Ungheria. Fonti diplomatiche di uno di questi governi hanno rivelato al Corriere che i cinesi usano una sorta di modulo standard per l’adesione. Una procedura che evidentemente non può essere replicata con l’Italia, che ha pur sempre il peso della sua presenza nel G7. Questa circostanza spiega la delicatezza del negoziato in corso.