Lunedì il vertice a tre con Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maiodev’essere quello dell’assunzione di responsabilità, come ha chiesto il premier all’indomani del voto europeo. Ma si affaccia già un primo terreno di scontro che metterà di fronte i due leader della maggioranza e il presidente del Consiglio. Uno scontro sul commissario europeo che l’Italia deve indicare entro poche settimane. E che nella testa di Conte dovrebbe essere un “tecnico” o un professore che faccia fare bella figura al nostro Paese in Europa. Mentre per Salvini e Di Maio la battaglia nell’Unione va combattuta con un politico di razza. Sempre che il governo ce la faccia a entrare in battaglia. Anche dal Quirinale filtra un’attenzione speciale per il rischio di un’Italia isolata al tavolo continentale delle nomine.
Esclusa (per ora) l’idea di mandare Enrico Letta alla presidenza del consiglio europeo per via del veto gialloverde, l’Italia parte da un 3 a 0 che non sarà in grado di ripetere. Oggi ci sono ai vertici delle istituzioni europee Antonio Tajani (Europarlamen-to), Mario Draghi (Bce), Federica Mogherini (Alto rappresentante). Un en plein da dimenticare per un’Italia esclusa dai summit che contano, sostituita come terzo partner nell’asse franco-tedesco dalla Spagna. Anche adesso che il paese iberico è governato dal socialista Pedro Sanchez. Ai tempi di Renzi e Gentiloni i vertici erano a tre o a quattro con l’ex premier spagnolo Rajoy, sempre voluto da Angela Merkel per via della comune appartenenza al Ppe. Adesso noi non ci siamo.
La presidenza del Consiglio europeo sarebbe un buon colpo per un’Italia giocoforza ridimensionata. Vale come un altro commissario e Letta ha dalla sua il rafforzamento della famiglia socialista nell’Unione. Ma Salvini e Di Maio non la pensano così. Chiedono un posto al sole nelle caselle degli Affari economici o della Concorrenza. In realtà l’esecutivo sa che un Paese in odore di procedura d’infrazione sul debito verrà tenuto alla larga da portafogli così delicati e si sta orientando a più miti consigli. Punta al commissario all’Industria. La delega sulle grandi imprese ma anche su quelle piccole e medie è un pallino sia del Movimento 5 stelle (i cui parlamentari devolvono lo stipendio a un fondo apposito) e verrebbe sbandierata dal Carroccio come un successo presso il suo elettorato del Nord. I tempi non sono brevissimi, ma il discorso commissario rientra nel discorso più generale del rimpasto e della scelta del ministro per gli Affari europei. In un gioco di riequilibrio della maggioranza dopo il voto del 26 maggio.
Il Consiglio europeo dovrebbe scegliere il nuovo presidente della commissione il 21 giugno, se trova l’intesa. Poi c’è il passaggio della fiducia dell’Europarlamento. A quel punto il presidente comincia a guardarsi attorno. L’Italia è destinata a scontare, oltre alla sue debolezze croniche, il fatto che la commissione sarà espressione di una maggioranza (le tradizionali famiglie Ppe, Pse, liberali) completamente diversa da quella che governa Roma. Qui si può inserire il discorso Letta, già bocciato da Di Maio. Ma anche quello del tecnico o dell’indipendente, la carta che vuole giocarsi Conte. Sarebbe forse più gradito di un politico puro proveniente dalla compagine sovranista. Un nome ad esempio può essere Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Esteri. I 5 stelle però fanno le barricate e la Lega pure. Anche qui la casella europea si intreccia con le dinamiche interne. Giancarlo Giorgetti da una parte sarebbe il nome di peso che Salvini mette sul piatto, dall’altro toglierebbe dal cuore di Palazzo Chigi una personalità che i grillini soffrono da morire. È insomma l’ennesima partita con l’Europa (non bisogna dimenticare che i commissari devono anche passare il vaglio dell’Unione prima di essere accettati) che l’Italia è chiamata a giocarsi senza tanti amici e con prudenza.