Ci sono momenti nei quali la concretezza è l’unica arma e il 2019 potrebbe essere esattamente uno di questi. Per l’Italia e l’intera area euro non è più il tempo delle narrazioni politiche di comodo, diffuse per scaricare sempre le responsabilità su qualcun altro. I segnali che l’economia italiana sta dando da tempo e anche l’area euro ha iniziato a mandare dicono che è il momento di riconoscere la realtà e iniziare a contrastarla. L’Italia naviga in correnti insidiose. Il numero degli occupati è aumentato di 21 mila persone in gennaio, ma da maggio l’economia ha 109 mila posti di lavoro in meno e anche dopo l’ultimo rimbalzo l’occupazione viaggia sotto i livelli di settembre. In generale, nota l’economista del Tesoro Riccardo Barbieri, nel 2018 si è fermato il lento miglioramento del mercato del lavoro che durava dal 2014.
Questa battuta d’arresto naturalmente è il riflesso di una dinamica più ampia. Ieri si è saputo che l’indice della produzione manifatturiera in Italia in febbraio è sceso ai minimi dal maggio 2013, quando il paese stava ancora cercando di riprendersi dal suo periodo più duro del dopoguerra. Non è un segnale da sottovalutare perché l’industria manifatturiera, la quinta al mondo per valore aggiunto, è il punto di forza e il traino del Paese. Il caos nella sessione di bilancio dell’autunno scorso e le conseguenti tensioni di mercato stanno presentando il conto. Se si allarga la visuale, il quadro non cambia molto. Ieri si è saputo anche che la fiducia dei manager del manifatturiero nell’area euro è ai minimi da più di cinque anni. L’industria del continente sta entrando in una recessione di settore e fra i grandi Paesi solo la Francia per ora sembra al riparo. Non la Germania, non la Spagna.
Il motivo va cercato nella miopia di aver perseguito da anni una ripresa squilibrata, tirata dalle esportazioni. È stata una preferenza tedesca alla quale quasi tutti gli altri Paesi si sono accodati. Ora però i mercati ai quali l’Europa si era affidata rallentano: la fiducia delle imprese cinesi è a livelli da contrazione, qualcosa di quasi mai visto che in parte si spiega con la guerra commerciale innescata dagli Stati Uniti; nel frattempo la Casa Bianca minaccia di aprirne una con l’Europa sulle auto e Brexit incombe.
È il momento di diventare concreti, mettere da parte le accuse su chi ha le colpe in Italia e in Europa e chiedersi cosa fare per proteggersi. In molti paesi d’Europa, dove indebitarsi costa zero o meno di zero, la risposta è semplice: lanciare programmi pubblici di investimento in educazione, ricerca, tecnologie, perché mancano da anni. In Italia la risposta è più complessa perché tutte le poche cartucce che del bilancio pubblico sono già state sparate male, secondo la Commissione Ue. La causa di fondo per cui il Paese frena da prima e più dell’area euro è nello spread, cioè nel costo del debito pubblico che si scarica su tutta l’economia. Ridurlo nel 2019 dovrebbe essere una missione nazionale. Ma per quella servono coerenza, e serietà.