Al borsino degli investitori esteri le quotazioni di Spagna, Francia e Germania salgono, quelle dell’Italia scendono. Secondo i calcoli – in anteprima – della banca dati Bureau van Dijk, che tengono conto di tutte le acquisizioni completate nel 2017 sia di maggioranza che di minoranza, quello che si è appena concluso non è stato un anno d’oro per il nostro Paese. Lo shopping complessivo da parte delle imprese straniere è stato di 44,9 miliardi di euro, il 32% in meno rispetto ai 30 miliardi incassati nel 2016.
Con l’M&A mondiale che nel 2017 ha contenuto le perdite a un -3,2%, l’Italia dimostra una performance decisamente sotto la media. Tra i big, peggio di noi fa solo la Gran Bretagna che, complice la Brexit, subisce un calo delle acquisizioni da parte degli investitori stranieri del 60 per cento. Al contrario, quello appena passato è stato un anno particolarmente effervescente per la Spagna: nonostante l’incertezza che per diversi mesi ha tenuto sott’acqua la Catalogna, il Paese nel suo insieme ha portato a casa oltre 40 miliardi di euro in partecipazioni straniere nelle proprie aziende, con un aumento del 32% rispetto al 2016.
Bene sono andate anche la Germania e la Francia, che nel 2017 hanno entrambe contabilizzato oltre 61 miliardi di euro, con una crescita rispettivamente del 7,6% e del 13,3 per cento. Né Parigi né Berlino dunque sembrano aver pagato il prezzo delle rivendicazioni protezionistiche presentate a Bruxelles a più riprese nel corso del 2017: al commissario Ue per il Commercio, Cecilia Malmström, si è chiesto infatti di fermare le acquisizioni in Europa da parte di società che beneficiano di finanziamenti pubblici e che non rispettano le regole del mercato.
L’obiettivo nel mirino erano soprattutto le aziende cinesi e al coro franco-tedesco si era unito anche il nostro ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda. Peccato che il 2017 italiano sia andato in un altro modo. Ad abbandonare il nostro Paese, però, non sono stati i capitali di Pechino, il cui flusso è balzato dai 230 milioni del 2016 a quasi 3,5 miliardi. Chi ha perso interesse verso le nostre aziende sono stati gli investitori francesi, passati secondo Bureau van Dijk dai 9,4 miliardi del 2016 a poco più di 6,7, quelli inglesi, scesi da 5,5 a poco più di un miliardo, e quelli statunitensi, diminuiti a quota 5,8 miliardi contro gli 8,5 del 2016.
Proprio la settimana scorsa i vertici dell’Ice erano negli Stati Uniti, per rilanciare la promozione degli investimenti americani in Italia nell’ambito della conferenza “Healthcare: Italy on the move” di San Francisco dedicata alla farmaceutica e alle biotecnologie. La città californiana, insieme a New York, è già sede di uno dei nove desk per l’attrazione degli investimenti: gli altri si trovano a Londra, Istanbul, Dubai, Pechino, Tokyo, Hong Kong e Singapore.
Per quest’anno l’Ice e Invitalia – cioè le due gambe su cui poggia la cabina di regia per l’attrazione degli investimenti esteri lanciata la scorsa estate – promettono di mettere in campo alcune novità, come la creazione di nuovi format per i roadshow e gli eventi all’estero, o come le azioni di aftercare verso le aziende straniere già presenti in Italia. Ma sul fronte dell’implementazione operativa della collaborazione fra Ice e Invitalia c’è ancora molto da lavorare.
Inoltre, la Manovra per il 2018 rinverdisce il Piano straordinario per il Made in Italy varato per la prima volta nel 2015 con altri 230 milioni di euro, 132 per quest’anno e gli altri per il successivo biennio. Ma anche se il ministero dello Sviluppo economico fa sapere che l’attrazione investimenti è ricompresa nel Piano, il grosso degli stanziamenti appare finalizzato alla sola crescita dell’export. Mentre il tema dei capitali esteri resta in secondo piano, ancora troppo imbrigliato nel trade off tra attirarne di più e tutelare il made in Italy da (presunte) operazioni predatorie.