I territori vanno considerati solo come serbatoi di consenso politico o hanno un ruolo-chiave nella pur complessa vicenda dello sviluppo italiano? La risposta che è venuta dall’Istat propende per la seconda ipotesi. E così da ieri esiste un Registro statistico di base dei luoghi (chiamato Rsbl) che avvicinerà numeri e territori, aumenterà il fabbisogno di informazione statistica locale e servirà anche a definire nuove geografie/mappe rilevanti (i mercati del lavoro, le aree ecologiche, i rischi idrogeologici, le biodiversità, le aree di sviluppo rurale). «Il Registro è un’infrastruttura che a regime consentirà di annullare il tradizionale trade-off tra disponibilità dei dati e loro dettaglio territoriale, consentendo analisi socio-economiche anche su dimensioni sub-comunali» spiega Sandro Cruciani, direttore centrale dell’Istat. Potremo quindi saperne di più sullo sviluppo dei sistemi territoriali superando l’artificialità delle delimitazioni amministrative. E tutto ciò in una fase dell’economia reale in cui la componente legata alla mobilità di merci e persone – i flussi – ha aumentato il suo peso.
Una prima anticipazione delle potenzialità del Registro viene dall’ampliamento del dettaglio di analisi delle imprese industriali e dei servizi. «La crisi economica ha impresso al nostro paese un lungo periodo di selezione e riadattamento — ha commentato il presidente Giorgio Alleva —. Ma ancora prima della crisi la globalizzazione e le tecnologie digitali avevano cominciato a ridisegnare i ruoli e imposto nuove sfide al nostro capitalismo nel territorio». Sotto l’aspetto della continuità territoriale e la geografia sembrano emergere due sentieri, ha aggiunto. «Il primo più frammentato sull’asse nord ovest (da Varese, Milano, Brescia) e un secondo più compatto che si sviluppa sulla via Emilia. Si tratta di aree in cui i legami economici tra settori della produzione e componenti della domanda intermedia contribuiscono ancora a creare processi di esternalità. Poi c’è il Mezzogiorno, meno produttivo e più vulnerabile, in cui sono rare eppure presenti enclave ad alta produttività che ne spezzano la compattezza».
Dai primi riscontri del nuovo Registro emerge nettamente Milano come città-regina. Risulta al primo posto sia per valore aggiunto prodotto dalle imprese sia per produttività del lavoro. I dati risalgono al 2015, nella graduatoria della produttività apparente del lavoro il valore medio di Milano con 70mila euro supera di una volta e mezzo la media italiana. Seguono Bolzano (68,9 mila euro) e Siena mentre Brindisi è l’unico comune del Mezzogiorno ai primi posti (58,2 mila euro per addetto). Roma è quinta (57,1 mila euro per addetto). Per quanto riguarda il contributo al valore aggiunto nazionale dell’industria e dei servizi non finanziari, Milano – ancora in testa con oltre 52 miliardi di euro (7,3% del totale) – è incalzata da Roma con 51,8 miliardi (7,2%) e a una certa distanza si collocano Torino, Genova e Napoli, (2,1%, 1,5% e 1,3% del valore aggiunto italiano). Milano, infine, è largamente prima anche nella graduatoria del commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi, davanti a Verona, Fondi e Rutigliano.