«Sono io il capo». Lo dice ai cronisti, ma sembra ricordarlo a se stesso.Giuseppe Conte scende dalla macchina poco prima dell’una di notte, il doorman dell’hotel Amigò con il suo elegante cilindro nero apre le porte girevoli, lui è tirato in viso e si dirige verso i giornalisti offrendo una metafora della funzione che ricopre: «Guardate quanto è pesante questa borsa». Una battuta, ma sino ad un certo punto, visto che la borsa passa veramente di mano, spiazzando un po’ tutti.
Giuseppe Conte alla fine della prima giornata del Consiglio europeo è molto provato, glielo si legge in faccia, nella voce molto tirata, nelle risposte stentate alle domande che gli vengono poste. In Italia è scoppiata l’ennesima lite fra la Lega e i 5 Stelle, addirittura in tv e mentre lui cercava con fatica e molte dosi di diplomazia di spiegare che il suo governo è moderato come la manovra economica che ha varato, che qui a Bruxelles si possono fidare. Un’opera quasi inutile viste le notizie che arrivavano da Roma e che alla fine provocano un vero e proprio sfogo da parte del premier: «Non possono pensare che io sopporti tutto, l’ho detto a chi di dovere, sono anche pronto alle dimissioni».
È forse la prima volta che Conte pronuncia questa parola (anche se in serata da Palazzo Chigi smentiscono: «Non ha mai minacciato dimissioni): è stato al telefono con Roma per più di un’ora la prima notte, altrettanto il secondo giorno, togliendo tempo al tavolo del Consiglio europeo, offrendo ulteriori spunti di scetticismo ai suoi colleghi, sul nostro Paese, sulla tenuta della maggioranza, sulla coesione dell’esecutivo che presiede: non è su tutte le furie, ma quasi.
Mentre parla con la Merkel il suo vice Luigi Di Maio annuncia esposti in Procura sul decreto fiscale, mentre è in un bilaterale con Emmanuel Macron i suoi due vicepremier continuano a litigare a distanza sui dettagli del condono. La dinamica è quantomeno sconfortante, sia per lui che per lo staff che lo assiste durante il summit. E suscita a tratti anche ilarità nei colleghi europei: Conte è venuto a dire che la manovra è bella e chiara, andrà via dicendo che occorre un altro Consiglio dei ministri. Un disastro, oggettivo, dal punto di vista della comunicazione.
I più duri saranno i finlandesi, gli olandesi, la stessa Angela Merkel, che con un sorriso liquida il giudizio sulla manovra: «È un problema della Commissione». Di sicuro per Conte è stato un Consiglio in salita: lui qui a spiegare, a porte chiuse, ai colleghi europei, che stiamo deviando per solo un anno in base ad una scelta calcolata e molto chiara di finanza pubblica, i suoi vicepremier a litigare in pubblico in Italia. Un contributo, anche plastico, ad un ulteriore isolamento del Paese. Alla fine appare addirittura coraggiosa la scelta di fare una conferenza stampa, ma il punto è proprio l’esigenza di rivendicare un ruolo, e dunque anche un potere: «Il presidente del Consiglio sono io, ho deciso che ci sarà una seconda riunione del governo per dissipare gli ultimi dubbi».
Affiora per la prima volta, in modo non velato, un filo di stizza per la comunicazione, le scelte, le liti, dei suoi due azionisti di maggioranza. Del resto, oltre ad aver evocato per la prima volta la parola dimissioni, sembra che Conte si sia lasciato andare ad un ulteriore momento di sconforto: davanti ai cronisti, ad una domanda sulla possibile crisi di governo, dice che è «improbabile», che sarebbe «irresponsabile», ma nemmeno la esclude, citando Max Weber e le finalità della politica. Al telefono con Roma però si lascia andare a considerazioni meno prudenti: «I prossimi dieci giorni saranno decisivi per sapere se dovremo affrontare una crisi o meno».
Eppure, nonostante tutto, davanti alle tv, riesce ad ostentare una relativa tranquillità: «Abbiamo la consapevolezza della delicatezza del momento, ma la lettera della Ue non ci preoccupa, siamo pronti a replicare, invito tutti a fare sistema». Forse anche i suoi due vicepremier.