Dall’industria ieri sono arrivati nuovi segnali negativi: a dicembre – stando all’Istat – per il quarto mese consecutivo la produzione è scesa di un altro 5,5% dopo il -2,6 di novembre. Un vero crollo. Inatteso, visto che tutte le previsioni della vigilia propendevano per un rimbalzo. Per la prima volta dal 2012 tutti i principali comparti produttivi (sia manifatturieri che non) risultano in rosso. Vanno male soprattutto i beni di consumo (-7,2%): ad essere colpiti in particolare sono il settore tessile (-11,1% rispetto al 2018), e il legno-carta (-13%). A seguire: gomma-plastica (-7,9%), apparecchiature elettriche (–6,4%), metallurgia, mezzi di trasporto e chimica -5,5/5,4%. Ancora malissimo l’auto, che perde un altro 16,6% (-5,9% nell’intero anno). Il risultato è che nell’intero 2018, la produzione è cresciuta appena dello 0,8% contro il +3,6% del 2017. «Il punto – commenta Paolo Mameli, senior economist di Intesa Sanpaolo – è che questa chiusura d’anno così debole lascia un’eredità negativa sul 2019: in caso di stagnazione in ciascuno dei primi tre mesi la produzione industriale calerebbe di un altro 1,1%. Ciò significa che la probabilità che il Pil resti ancora in territorio negativo appare elevata». Stando alle nuove stime diffuse ieri dal Cer nel primo trimestre non ci sarà certamente una inversione di tendenza ed il Pil scenderà di un altro 0,3% confermando che l’Italia resta in recessione. Secondo Mameli il rischio di una stagnazione nell’intero 2019 è «alto». A questo punto, infatti, «si può immaginare un ritorno alla crescita solo nella seconda metà dell’anno, sulla scia del rientro di alcuni freni di carattere esterno e degli effetti delle misure del governo, ma difficilmente tutto questo sarà sufficiente ad alzare la media annua significativamente sopra lo zero».
Nel suo primo rapporto dell’anno sull’andamento dell’economia dall’Istatarrivano altri segnali inquietanti: a gennaio l’indicatore anticipatore dell’economia italiana, ha infatti «registrato una marcata flessione, prospettando serie difficoltà di tenuta dei livelli di attività economica». La situazione si fa insomma sempre più seria eppure il governo tiene il punto. «Non credo servirà una manovra correttiva» ha ripetuto ieri il vicepremier Luigi Di Maio indicando come unica causa della crisi in atto «la congiuntura economica sfavorevole a livello europeo ed il declino della produzione industriale di un paese traino come la Germania». Non la pensano allo stesso modo Cgil Cisl e Uil che chiedono una svolta decisa della politica economica e un piano straordinario di investimenti e che oggi tornano a sfilare per le vie di Roma per un manifestazione che si annuncia imponente.
«Basta con il falso ottimismo, la situazione va male» protestano i sindacati. «Da tempo stiamo dicendo al governo che bisogna reagire. Gennaio purtroppo sarà come dicembre» prevede a sua volta il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, secondo il quale però «reagire scendendo in piazza in questo momento non serve. Occorre invece fare proposte e aiutare il governo a crescere». Non la pensa allo stesso modo Confindustria Romagna che invece col suo presidente Paolo Maggioli sarà al fianco dei sindacati. «Quando decisioni del governo mettono a rischio la crescita del Paese – ha spiegato – serve un segnale di compattezza: aziende e lavoratori devono fare fronte comune».
Il peggioramento del quadro economico, e le continue fibrillazioni politiche, fanno di nuovo volare lo spread che sfonda quota 290, arrivando sino a 294 per poi ripiegare e chiudere la giornata a 285 punti, e col rendimento dei nostri titoli decennali che supera ancora una volta la soglia di guardia del 3%. La Borsa balbetta, l‘indice Ftse Mib perde lo 0,65%, mentre sull’Italia si affaccia lo spettro di un possibile nuovo declassamento del rating da parte dell’agenzia americana Fitch, che sinora ha tenuto sospeso il giudizio sull’Italia e che fra due settimane, il 22 febbraio, renderà noto il suo verdetto.