«Guardi, il budget iniziale prevedeva una crescita del 10%. Ma a questo punto sarà un bel successo chiudere sui livelli dello scorso anno». «I nuovi ordini? In picchiata da qualche mese: per ora si lavora con il fieno che avevamo messo in cascina nei mesi scorsi. Ma il vero problema, se non cambia il vento, sarà il 2020». «Le commesse cedono il 30%. Del resto, proseguire lungo il trend dello scorso anno era davvero difficile. Fino alla fine del 2019 siamo tranquilli, poi si vedrà». Le voci potrebbero moltiplicarsi, anche se in realtà non aggiungerebbero nulla di radicalmente diverso rispetto ai racconti di Giancarlo Losma, Luigi Galdabini e Mauro Biglia.
Imprenditori delle macchine utensili che pur da segmenti di mercato distinti e da territori diversi osservano e sperimentano il medesimo contesto: quello di un business che in termini di crescita si è fermato, in particolare in Italia. Le previsioni più recenti dell’associazione di categoria, Ucimu-Sistemi per Produrre, lasciano spazio a pochi equivoci, anticipando per fine anno un “avanti adagio” della produzione soltanto grazie ai progressi garantiti dall’export, mentre per il mercato interno è ipotizzata una crescita zero. In passato una sorta di standard, una vera novità invece rispetto ai risultati degli ultimi anni, caratterizzati da consumi interni di macchine utensili passati in appena un triennio da 3,3 a 5,2 miliardi di euro, il top di sempre.
Certo, proseguire nel trend roboante del precedente biennio era difficilmente ipotizzabile, tenendo conto non solo di un naturale assestamento dopo la corsa a doppia cifra degli investimenti in robot e macchinari, ma soprattutto di un contesto interno ed internazionale radicalmente diverso rispetto al passato recente. L’indice di fiducia delle imprese manifatturiere, in calo costante dallo scorso luglio, rappresenta la spia più evidente di un pessimismo diffuso e crescente tra le imprese, già peraltro tradotto in una frenata complessiva degli investimenti. Registrata, così evidenzia l’ultimo sondaggio regionale di Bankitalia, persino nel motore manifatturiero del Paese, la Lombardia.
Se sul rallentamento del commercio internazionale il Governo italiano può evidentemente incidere poco o nulla, è sul fronte interno che le imprese chiedono un cambio di passo (si veda altro articolo in pagina), in modo da sostenere la domanda interna rilanciando le prospettive di crescita. «Essere la seconda potenza manifatturiera d’Europa – ha ricordato nel corso dell’assemblea di Ucimu il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia – non è un dono certo e garantito, piuttosto una posizione che l’Italia deve conquistare ogni giorno. In un contesto peraltro sempre più difficile, visto che gli altri paesi corrono».
Corsa che peraltro ha senza dubbio caratterizzato il settore negli ultimi anni, con una produzione arrivata a nuovi record assoluti (supererà per la prima volta i sette miliardi di euro alla fine dell’anno) grazie ad una rivoluzione copernicana nei mercati di sbocco, con la domanda interna a prendere in modo prepotente il testimone della crescita a scapito dell’export. Che dal 2010 al 2015 aveva invece rappresentato l’ancora di salvezza delle imprese.
L’anno dei record, il 2018, consolida ad ogni modo la posizione dell’Italia delle macchine utensili nel panorama mondiale, dove in termini di produzione confermiamo la quarta posizione assoluta, alle spalle di Cina, Germania e Giappone. Pechino che invece superiamo di una manciata di milioni in termini di export, con l’Italia dei robot sul podio delle vendite internazionali alle spalle unicamente di Germania e Giappone.