Il dibattito sulle reali trasformazioni del sistema produttivo italiano nel post-Crisi è snobbato dalla politica e resta per lo più relegato ad ambiti specialistici ma non per questo è meno interessante e soprattutto meno utile ai fini delle scelte di politica industriale che dovremo adottare nella stagione che si apre. Prendiamo il tema delle filiere ovvero del format che in qualche modo incarna il passaggio dalla fabbrica-cattedrale del `goo alle moderne catene integrate tra azienda madre e fornitori. Non siamo certo gli unici a muoversi in questa direzione e i lavori dell’economista geo-politico indiano Parag Khanna hanno fotografato in largo anticipo questa tendenza, ma ci sono delle particolarità del modello italiano che vanno colte. Ci viene in aiuto, come altre volte, l’economista Innocenzo Cipolletta che invita a distinguere tra filiere orizzontali e filiere verticali al fine di individuare le giuste policy.
Mentre in Francia e Germania si sono sviluppate filiere verticali nelle quali «una grande o media impresa fa crescere una rete di subfornitori più o meno esclusivi», in Italia sono nate le filiere orizzontali «dove i produttori si specializzano nella produzione di singole parti adattando ogni prodotto alle esigenze del committente ma coltivando una gamma relativamente ampia di dienti». La filiera verticale ha il vantaggio di riunire attorno a un’impresa relativamente grande un gruppo di Pmi che però agiscono in mercato chiuso e quindi alla fine risultano giocoforza meno efficienti. La filiera orizzontale mantiene le Pmi a restare in una dimensione molto limitata —quasi degli «artigiani industriali», chiosa Cipolletta — ma ha il vantaggio di assicurare maggiore efficienza grazie alla concorrenza dei diversi clienti che si devono procacciare e grazie alla ricerca e all’ innovazione che riescono a sviluppare restando focalizzati su specifici prodotti e lavorazioni.
L’economista ed ex direttore generale di Confindustria chiama queste imprese «industrie su misura» perché lavorano sartorialmente per prodotti che sono unici visto che sono ingegnerizzati e ideati per specifici committenti e non su larga scala. Corrono perciò pochi rischi di essere copiati dai cinesi odi subire l’aggressione di una concorrenza solo dicosti, data per l’appunto la capacità sartoriale di adattarsi alle esigenze del cliente. Al quale forniscono anche una mole di servizi aggiuntivi che vanno dalla ricerca alla manutenzione fino allo sviluppo di nuovi prodotti. Abbiamo dunque trovato con le filiere orizzontali la chiave per risolvere problemi dei Piccoli nel lungo post-Crisi? No, risponde Cipolletta. «E’ una scelta intelligente ma lascia le nostre Pmi in dimensione ridotta ed è questa la loro fragilità. Occorrerebbe sviluppare una struttura di finanza capace di supportarle e difenderle dall’essere assorbite da qualche produttore-cliente, che finirebbe per farle morire dopo un certo tempo».