C’è un aspetto surreale nella diatriba tra governo e Commissione europea sulla legge di bilancio. Roma e Bruxelles litigano a proposito delle rispettive previsioni sul deficit pubblico, ma concordano che l’economia accelererà rispetto a quest’anno.
Si tratta di una predizione lunare. Oggi l’Italia ha davanti il rischio di una nuova recessione, a causa del rallentamento dell’economia europea e, soprattutto, dell’impatto delle politiche del governo sulla fiducia delle imprese e degli investitori. È questo pericolo, più che una probabile procedura di infrazione, che dovrebbe imporre all’esecutivo di cambiare rotta.
Nelle sue previsioni semestrali, la Commissione europea ha ipotizzato che il rapporto tra deficit pubblico e prodotto interno lordo per l’Italia nei prossimi due anni sarà, rispettivamente, del 2,9% e del 3,1%. Si tratta di cifre ben al di sopra di quelle del governo, che immagina, rispettivamente, un indebitamento pari al 2,4% e al 2,1% del Pil. Il ministro dell’economia Giovanni Tria si è molto indispettito, parlando di “défaillance tecnica” da parte di Bruxelles. Tuttavia, se c’è un errore nei numeri della Commissione, questo è l’eccesso di ottimismo: un peccato veniale rispetto a quello mortale delle cifre gonfiate prodotte a Roma.
La Commissione europea immagina infatti che l’economia italiana crescerà dell’ 1,2% nel 2019 e dell’ 1,3% nel 2020, in leggera accelerazione rispetto all’ 1,1% di quest’anno. Si tratta di numeri inferiori rispetto a quelli del governo italiano ( rispettivamente 1,5% e 1,6%), ma comunque difficili da conciliare con un rallentamento che sta diventando ogni giorno più evidente. Il Pil italiano si è fermato nel terzo trimestre di quest’anno, e i primi segnali del quarto non sono affatto incoraggianti. Gli indici dell’attività economica nei servizi e nel manifatturiero per ottobre hanno segnato una contrazione, la prima da alcuni anni. Il Fondo Monetario Internazionale crede che l’Italia crescerà soltanto dell’1% nel 2019. Oxford Economics, una società di consulenza, ipotizza addirittura uno 0,6%.
Il governo, a partire dal primo ministro Giuseppe Conte, ama ripetere che questo rallentamento è la prova della necessità di una manovra economica espansiva. Un ragionamento di questo tipo potrebbe avere senso se il rallentamento fosse indipendente dalle azioni del governo e se l’Italia avesse molto spazio per aumentare il deficit. Purtroppo, non è così: l’economia europea è in leggera frenata, ma in nessun Paese si vede la contrazione che sta incominciando in Italia. Piuttosto, l’ideazione del contratto di governo gialloverde e la sua successiva attuazione hanno spinto in alto i tassi d’interesse sul debito pubblico italiano e frenato la fiducia degli imprenditori. Come hanno spiegato Olivier Blanchard e Jeromin Zettelmeyer in un articolo per il Peterson Institute for International Economics, l’Italia rischia una manovra espansiva dagli effetti recessivi.
L’altra idea folle del governo italiano è quella di correggere la manovra in corso d’opera, tagliando la spesa se l’economia dovesse rallentare più del previsto. Si tratterebbe di una politica pro-ciclica, contraria allo spirito di quel John Maynard Keynes che i nostri ministri amano invocare. L’Italia si avviterebbe in una spirale recessiva, perdendo sempre più la fiducia di imprese e famiglie. Per questo, bisogna agire ora, non tra quattro mesi.
È bene chiarire che non ci sarà nessun cavaliere bianco in soccorso dell’Italia. La Banca Centrale Europea ha in programma di terminare i suoi acquisti netti di titoli di Stato a fine anno. Con l’inflazione in leggera ripresa nella zona euro, è estremamente difficile che Francoforte cambi idea. Se la Bce interverrà, sarà al massimo attraverso un nuovo programma di finanziamenti a tassi agevolati per le banche. Questi soldi serviranno al massimo ad attenuare la stretta sul credito che si sta preparando, non certo a far schizzare in alto i tassi di crescita.
Per un micidiale paradosso, i sovranisti di casa nostra dovranno dunque adoperarsi da soli. Per farlo, dovrebbero prima di tutto provare a recuperare un po’ della credibilità perduta, cancellando le misure più dannose della legge di bilancio come l’abbassamento dell’età pensionabile. Solo a quel punto si potrebbe immaginare un rapporto deficit/Pil lievemente più alto rispetto a quell’1,6% fatto trapelare da Tria in estate.
Sarebbe un compromesso sensato, a cui la Commissione dovrebbe dire di sì. Ma nulla potrà accadere se il governo non sostituirà al suo sterile ottimismo della volontà, un più lungimirante pessimismo della ragione.