Se fosse un romanzo giallo, sarebbe mediocre perché privo di suspense . Se fosse una tesi di laurea, il relatore avrebbe già perso il filo e lo studente sarebbe rimandato. Il racconto del vertice europeo e delle sue conseguenze pratiche appartiene a entrambi questi ambiti. Intanto è privo di tensione, perché il governo Conte non cadrà sui modesti esiti del confronto telematico. Forse perché l’Italia ha ottenuto quel che voleva? Non esattamente.
Al di là di certi toni trionfalistici, tipici di una politica decadente, sappiamo che non è mai esistito lo scambio Mes/eurobond; e purtroppo anche il capitolo del Recovery fund , il fondo straricco per finanziare la ripresa, è avvolto nella nebbia. C’è l’intenzione di vararlo “con urgenza”, è vero, ma non si dice il come e il quando. Anzi, anche il quanto (500 miliardi, 1000, 1500?) è oggetto di dispute che non lasciano ben sperare. Si ignora tra l’altro quale sarà la parte a fondo perduto (probabilmente molto ridotta) e quale invece verrà elargita sotto forma di prestito. Quanto alla trattativa per agganciare il nuovo strumento al bilancio europeo, si annuncia farraginosa.
Di certo c’è che ai primi di giugno dovrebbe essere attivo il trittico Mes/Bei/Sure. In definitiva si torna al fondo salva Stati e alle controversie politiche che lo accompagnano.
Qui il romanzo dovrebbe presentare un colpo di scena.
Il premier esce dalla stanza del vertice, si sforza di accreditarsi come vincitore del braccio di ferro con Germania e Olanda, ottiene qualche applauso di circostanza e tuttavia viene smentito dal primo partito della maggioranza, il movimento Cinque Stelle, che aveva chiesto di rifiutare il Mes. E quindi, di conseguenza, apre la crisi. Ma non sarà questa la conclusione. I 5S non hanno mai avuto l’intenzione di rovesciare Conte, con ciò affondando anche se stessi.
Avevano, questo sì, la volontà di far ribollire le acque stagnanti della politica, ma senza mai superare il limite.
La difficoltà è consistita nel far apparire il vertice come una vittoria italiana. Occorreva qualcosa di più per rendere credibile tale scenario, ma non è arrivato.
Quindi, se da un lato c’è il Mes (che non è mai stato realmente in dubbio), dall’altro ci sono quasi soltanto generose promesse. Che forse potranno tradursi in un passo avanti per l’Unione, ma con tempi tipici dei processi europei: quasi sempre lenti e contraddittori.
Ne deriva che il presidente del Consiglio non cadrà per mano del M5S, salvo un incidente di percorso, ma nemmeno potrà dire di essersi rafforzato con il risultato del summit. Si conferma invece un equilibrio affidato alle reciproche debolezze e al timore del salto nel buio.
Ciò significa che sul piano dell’immagine i 5S rischiano di pagare il prezzo più alto: sono loro ad avere alzato la posta, suscitando attese rimaste a mezz’aria.
Lo si è visto con l’iniziativa parlamentare dei Fratelli d’Italia, pensata proprio per far venire alla luce il bluff grillino: il movimento, salvo sette dissidenti, ha respinto l’ordine del giorno in cui si impegnava il governo a non utilizzare mai il Mes. Una provocazione, è evidente. Ma utile a svelare la realtà: tranne un drappello minoritario, i 5S restano gli alfieri di Conte. Per cui, se questa vicenda fosse una tesi di laurea, qualcuno avrebbe già deciso che è troppo confusa per meritare la sufficienza.