L’Italia non ha mai espresso un’identità nazionale marcata. Unitaria. Ma, piuttosto, molteplice. In-definita. Meglio, definita da molte, diverse, definizioni. Si tratta di una tendenza di lunga durata. Perché il rapporto fra territorio e politica appare stretto e continuo. Fin dalla Prima Repubblica, quando i partiti di massa erano radicati nel Centro-Nord. Mentre nel Sud prevaleva un voto di scambio, su base locale. Diffuso, peraltro, anche nel resto del Paese. Il “legame” della politica con il territorio è divenuto più esplicito dopo gli anni Ottanta, quando le Leghe regionaliste e, dopo, la Lega Nord, ne hanno fatto una bandiera. Soprattutto nel Lombardo-Veneto.
Negli ultimi anni, però, questa tendenza è cambiata. Insieme alla Lega. Che si è “nazionalizzata”. Sul piano elettorale, ma anche nell’identità. Tuttavia, il legame degli italiani con il territorio non si è indebolito. In particolare, nel Nord. Come hanno confermato i referendum sull’autonomia che si sono svolti nell’ottobre 2017. Il sondaggio condotto da Demos su questo tema, nelle scorse settimane, conferma la persistenza di un’identità territoriale articolata e “plurale”. L’Italia resta il primo riferimento, indicato dal 22% del campione. In lieve calo, negli ultimi anni. Poco più di 1 cittadino su 5, dunque, si sente “prima di tutto italiano”. Al di là del significato assunto da questa affermazione negli ultimi tempi. Entrata nel lessico della Lega di Salvini.
Allo stesso tempo, però, quasi 4 italiani su 5 privilegiano altri riferimenti territoriali. In particolare: la loro città (16%) e la loro Regione (11%). Risulta, inoltre, ampia l’importanza attribuita alle “macro-aree”. Il Nord, il Centro e il Sud, infatti, raccolgono oltre il 20% delle preferenze “territoriali”, se calcolate insieme. Anche se il “Centro” era e resta un riferimento per pochi (3%). Infine, molte persone si proiettano oltre i confini nazionali e locali. Il 9% si definisce, anzitutto, europeo. Mentre il 21% si dichiara “cosmopolita”. Cioè, “cittadino del mondo”.
Circa metà degli italiani continua, dunque, a “presentarsi” in base alla provenienza “locale” (anche se non “localista”). Cittadini della loro città, regione, area… Milanesi, romani, napoletani, torinesi, fiorentini, baresi … Oppure, in seconda battuta, veneti, sardi, piemontesi, marchigiani, siciliani, liguri, umbri, calabresi. In misura minore, meridionali, del Nord… E potrei, anzi: dovrei, proseguire ancora a lungo. Perché rischio – anzi: sono certo – di sollevare risentimento nei luoghi che ho dimenticato… Tanti, tantissimi. Tutti importanti. Per chi ci abita. Ci vive. A questo proposito, ho ricordato, in passato, le considerazioni del Presidente Carlo Azeglio Ciampi nella seconda metà degli anni Novanta. Quando i conflitti territoriali erano particolarmente accesi. Ciampi, sosteneva, infatti, che l’Italia “è un Paese di paesi”.
Unito dalle sue differenze. I nostri “particolarismi” evocano, dunque, una realtà molteplice, sotto il profilo dell’arte, della cultura, dell’economia. E se ciò complica la coesione, ci rende attraenti e irripetibili, sul piano internazionale.
Io stesso farei molta fatica a “definirmi” attraverso un solo luogo specifico. Sono nato a Cuneo, cresciuto nelle Langhe, a Bra, poi, adolescente, in Liguria, alle porte di Savona. Infine, a 15 anni mi sono trasferito in Veneto. In provincia di Vicenza. Insieme alla famiglia. Guidata da un padre “militare”. E oggi giro-vago. Per motivi professionali. A seconda dei periodi, risiedo a Vicenza, Urbino. E a Parigi. Così, mi è difficile rispondere a chi mi chiede di dove sono e da dove vengo. Dipende… Ma non sono il solo. Perché, come abbiamo detto e visto, l’Italia è un “Paese di paesi”. Un Paese di siciliani, napoletani, torinesi, emiliani …”e” italiani. Non per caso l’Italia è scelta, come primo o secondo riferimento, da oltre il 40% delle persone “intervistate”.
Mentre l’orientamento europeo e cosmopolita appare più diffuso fra i giovani. Abituati a viaggiare. Per motivi di studio. Ma anche di lavoro. Partono sempre più numerosi. E, in molti casi, non rientrano. In questa cornice di identità territoriali, l’Italia è stata utilizzata anche come etichetta per distinguerci dagli “altri”. Che (pro)vengono da fuori. Percepiti, per questo, con fastidio. Preoccupazione. Talora, come una minaccia. Così, il collegamento fra territorio e politica ha acquisito nuovo significato.
L’Europa: divide. Nella base del PD, è primo riferimento per quasi il 20%. Mentre fra gli elettori del M5s conta poco (9%). E fra quelli della Lega ancor di meno (4%). E non da oggi. Ma il cambiamento più evidente e sorprendente coinvolge proprio l’Italia. Fino a pochi anni fa guardata con distacco dai leghisti, ancora “padani”. Mentre, oggi, più di tre su dieci, fra loro, si definiscono “prima italiani”. Quasi tre volte in più rispetto al 2013. Al contrario, nel 2013, quasi un quarto degli elettori PD si sentiva “anzitutto” italiano. Oggi solo il 14%. La stessa tendenza c’è nella base di Forza Italia. Nonostante il nome del partito… Insomma, l’Italia resta un “Paese di Paesi”. Ma non più di “italiani”. Al contrario: per gli italiani, l’Italia, più che un’identità comune, sta diventando motivo di divisione. Quanto e più dell’Europa.