Matteo Salvini sta valutando se confermare il suo viaggio negli Stati Uniti e soprattutto l’appuntamento clou, quello dell’8 giugno con il vicepresidente americano Mike Pence. Non è stato ancora disdetto ma il leader della Lega lo tiene in sospeso perché adesso non esclude che, dopo il voto europeo del 26 maggio, si aprirà la crisi di governo. Forse anche di questo ieri sera, all’hotel Four Season di Milano, Giancarlo Giorgetti avrà parlato con l’ambasciatore Usa in Italia Lewis Eisenberg e il nostro a Washington Armando Varricchio. Il sottosegretario leghista era l’ospite d’onore dell’incontro tra le multinazionali americane in Italia e le aziende italiane che operano oltreoceano. Avrà magari spiegato, a margine della cerimonia, che il governo è in bilico, i rapporti con i 5 Stelle si sono deteriorati oltre ogni misura e che quindi la visita di Salvini per il momento è in stand by. Giorgetti da tempo è pessimista sulla possibilità di poter fare le cose importanti con una forza politica che su molte questioni ha posizioni ideologiche, non ha esperienza di governo, vede nemici e corrotti ad ogni angolo del Paese. Già nel luglio del 2018, appena un mese dopo la nascita della maggioranza gialloverde, immaginava cosa sarebbe successo nei mesi successivi, ma Matteo Salvini aveva maturato un’altra idea. Aveva conosciuto Luigi Di Maio, con il capo di M5S aveva scritto il contratto di governo e si fidava.
Davanti a ogni problema serio che si presentava il ministro dell’Interno diceva che l’avrebbe risolto con Di Maio e in qualche modo ci riusciva. Sì, Matteo si fidava di Luigi, era convinto che il grillino volesse «cambiare il Paese, renderlo più moderno, abbassare le tasse, sbloccare i lavori pubblici, fare una politica anti-migratoria forte». Si era creato un rapporto personale ottimo. Un’intesa che, invece, non è mai decollata con il premier Conte. In tutte le riunioni con lo stato maggiore leghista Salvini chiedeva ai ministri di mordersi la lingua, ai viceministri e ai sottosegretari di continuare a lavorare e collaborare con i ministri 5 Stelle nei loro dicasteri di competenza.
Ora quella storia d’amore politica è finita e Salvini deve dare ragione a Giorgetti che nell’intervista a La Stampa di ieri è arrivato a dire che quasi sempre Matteo «in modo irrazionale si comporta con lealtà e lo fa anche oggi, di fronte al fuoco di fila dei 5 Stelle, manifesta una lealtà che va contro la ragionevolezza». Ma Giorgetti lo dice con tutta la stima – «e anche l’affetto», precisano fonti autorevoli della Lega – che ha per Salvini che considera «l’unico politico in circolazione». Di Maio kaputt. Conte? «Non è più sopra le parti», dice Giorgetti. Il premier si arrabbia, considera gravissimo mettere in dubbio la sua «imparzialità» e Salvini prima dice, senza alcuna convinzione, che Conte è super partes e ha la sua fiducia. Ma poi, alla domanda se prende le distanze da Giorgetti, precisa: «Io non smentisco mai Giorgetti».
Chi ha parlato ieri con Salvini ha sentito per la prima volta una perfetta sintonia tra il capo del Carroccio e il sottosegretario. Un sentimento di sfiducia verso il M5S che accomuna tutta la delegazione ministeriale. «Non c’è alcuna contraddizione tra loro due – spiega Edoardo Rixi – perché Giorgetti si farebbe tagliare un braccio per Salvini». Leale sempre, non ha colpi di testa, non fa mai il capo fronda. Del resto è sempre stato così, lavorare duramente per il capo, anche con Umberto Bossi, perfino nei momenti più difficili. E ora, pure con l’intervista a La Stampa, ha anticipato quello che pensa e sembra farà Salvini dopo il 26 maggio: se non andranno in porto i provvedimenti della Lega, dalla flat tax, al decreto sicurezza bis, all’autonomia regionale, allo sblocca-cantieri, si chiuderà il sipario sul governo. È chiaro però che molto dipende dai voti che prenderanno i due partiti alleati: se il Carroccio avrà il 30 e più per cento detterà legge soprattutto se il M5S sarà più vicino al 20 per cento. Ma non c’è una strategia di ritorno al centrodestra, questa per il momento è l’ultima cosa che vuole Salvini. «Stiamo calmi – ha detto in queste ore il leader ai suoi – vediamo come andranno le Europee, non anticipiamo nulla». In un forum dell’Ansa ricorda che 5 anni fa alle Europee il Carroccio era al 6%, l’anno scorso alle politiche il 17%: «Dunque tutto quello che c’è dal 17%, dal 20% in su è un successo. Non voglio dare numeri ma non pongo limiti alla provvidenza, vediamo chi sale e chi scende».