La crisi causata dall’epidemia di coronavirus è destinata a rafforzare il ruolo dello Stato nell’economia italiana. Il settore pubblico diventerà di fatto il prestatore di ultima istanza di molte aziende, entrerà nel capitale di alcune di esse e sosterrà il reddito dei tanti che resteranno senza lavoro. È importante, però, che questo accentramento sia guidato con competenza e non con ideologia. Soprattutto, è auspicabile che sia un cambiamento legato esclusivamente all’emergenza, e dunque temporaneo.
La chiusura delle attività produttive non essenziali imposta dal governo nel corso delle ultime settimane sta provocando una contrazione che non ha precedenti nella storia economica recente. L’indice Pmi che misura l’attività nel settore dei servizi è sceso tra febbraio e marzo da 52,1 a 17,4 — toccando il livello più basso mai raggiunto da questo indicatore. Questa frenata — tanto inevitabile quanto prevedibile — ha obbligato il governo a mettere in campo un corposo pacchetto di misure, che comprende aiuti ai redditi di lavoratori dipendenti e autonomi e un pacchetto di garanzie per i prestiti alle imprese. Il governo si troverà anche a ricapitalizzare aziende in crisi, come è già avvenuto con l’ennesimo salvataggio di Alitalia.
Non c’è da scandalizzarsi per l’intervento massiccio del settore pubblico in una crisi così devastante. Come ha spiegato l’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, la settimana scorsa, in questa fase è essenziale usare il bilancio statale per sostenere i bilanci privati di famiglie e imprese così da limitare i danni di lungo periodo. Inoltre, in un contesto emergenziale in cui la priorità collettiva è la tutela dalla salute pubblica, è inevitabile che si rafforzi il ruolo del governo nel decidere quali attività economiche siano necessarie, e quali invece debbano fermarsi. Anche Paesi tradizionalmente riluttanti all’intervento statale — come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti — stanno, in misure diverse, accettando il ritorno del Leviatano.
C’è però un rischio: che questo cambio di paradigma forzoso diventi la scusa per ricette ideologiche anacronistiche, che prediligono lo Stato in quanto Stato, ignorando le ragioni del suo intervento . Questi istinti circolano diffusamente sia tra le forze di maggioranza, sia tra quelle di opposizione. Per frenarli, è importante partire da tre semplici riflessioni.
La prima è che l’amministrazione pubblica e le aziende a partecipazione statale devono rispondere della loro gestione della crisi. Dai medici ai postini, sono tanti i lavoratori che oggi sono in prima linea per far funzionare il Paese in condizioni estreme. Ma non si possono trascurare gli errori madornali a cui stiamo assistendo, come la disseminazione incontrollata di dati sensibili avvenuta in settimana all’Inps. Un governo che arroga a sé maggiori poteri ha il dovere di chiedere conto di cosa sia accaduto.
Questa è una delle principali differenze tra una democrazia in emergenza e una dittatura.
La seconda è che maggiore accentramento non può voler dire ignorare le migliori prassi a livello locale. Molti politici, dai 5S a quelli del Partito democratico, stanno chiedendo di riportare la gestione della sanità su un piano nazionale, per evitare la frammentazione della catena di comando che si è vista in questa crisi. Il paradosso, però, è che la risposta migliore all’emergenza c’è stata in una regione, il Veneto, che spesso ha ignorato le direttive che arrivavano da Roma, ad esempio per quanto riguarda la gestione dei tamponi. Una deriva centralista impulsiva rischia di produrre solo un livellamento verso il basso.
Infine, ci sono i limiti intrinsechi all’azione del demiurgo statale. Quando il governo si è trovato a decidere come classificare le attività economiche essenziali, si è accorto che le filiere produttive sono molto più complesse di come le aveva immaginate. Eventuali tentativi di pianificazione della produzione in stile parasovietico andrebbero incontro a problemi ben più gravi. Qualsiasi nazionalizzazione, inoltre, dovrà essere accompagnata da efficaci ristrutturazioni aziendali: il modello deve essere quanto fatto dall’amministrazione di Barack Obama con il settore dell’auto negli Stati Uniti durante la grande recessione, non certo gli aiuti a pioggia ad Alitalia.
Non abbiamo idea di quanto durerà questa emergenza e non saranno né gli economisti né i politici a dircelo, ma soltanto i freddi numeri delle curve epidemiologiche.
L’importante, però, è non rassegnarsi a pensare che quanto è oggi inevitabilmente necessario lo sarà per sempre. Lo Stato sia il protagonista di questa fase, e lo faccia con responsabilità e competenza. Ma la politica deve essere altrettanto pronta, quando sarà, a fare un passo indietro: l’economia di guerra non deve continuare quando tornerà la pace.