F ino a quando potrà durare l’ambiguità su cui si regge la politica economica del governo? Non molto, a giudicare dalla lettera che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha inviato venerdì a Bruxelles in risposta ai rilievi della Commissione europea sulla situazione del nostro debito pubblico. L’Italia non è in grado di spiegare come manterrà il suo impegno di riduzione del deficit. La distanza fra le aspirazioni dei tecnici e i desideri dei politici è ormai diventata insostenibile. La richiesta di chiarimenti da parte dei commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici riguarda l’aumento del rapporto fra debito pubblico e Prodotto interno lordo nel 2018. Su questo, la risposta per il governo è relativamente semplice. Non vi è dubbio che il rallentamento dell’economia nella seconda metà dello scorso anno sia legato anche all’arrivo del governo di Lega e Movimento 5 Stelle, che ha portato a un significativo aumento dei tassi d’interesse sul debito pubblico italiano e a un generalizzato clima d’incertezza. Ma Tria può facilmente nascondersi dietro la frenata dell’economia mondiale, e il fatto che la prima legge di bilancio dell’esecutivo riguardi il 2019.
Inoltre, l’ipotesi di una manovra correttiva già per quest’anno è difficile da giustificare da un punto di vista economico. Improvvisare aumenti delle tasse o tagli di spesa a metà anno difficilmente contribuirebbe a ripristinare un clima di fiducia intorno all’Italia. Ben diversa è invece la situazione per il 2020. Sembra proprio questo il vero oggetto del contendere fra Roma e Bruxelles. Al momento, l’Italia ha promesso di ridurre il deficit grazie a tagli di spesa, oppure a un aumento di accise e Iva, per oltre 20 miliardi di euro. Il problema è che i politici italiani non perdono occasione per ribadire che le tasse non saliranno. La lettera di Tria a Bruxelles conferma che il governo è ormai in un vicolo cieco. In una prima versione, poi smentita dallo stesso ministero, l’esecutivo aveva fatto più o meno quello che era necessario fare: identificare aree del bilancio pubblico – il welfare – in cui si immaginava di poter tagliare la spesa. Si trattava di impegni vaghi e che non sarebbero stati necessariamente mantenuti. Ma era pur sempre un primo segno di coerenza tra gli obbiettivi di deficit indicati dall’esecutivo e l’azione di governo. Le proteste dei 5S hanno rimosso anche questo riferimento più specifico. Oggi la lettera di Tria appare assolutamente vuota di qualsiasi dettaglio.
La Commissione, che dovrà rispondere in settimana, non ha nessun elemento per sentirsi rassicurata circa le intenzioni del governo. Per l’ennesima volta, la volontà dei tecnici non trova nessuna sponda tra i politici. Con le elezioni europee ormai alle spalle, e i titoli di Stato italiani con rendimenti simili e in alcuni casi superiori a quelli della Grecia, è il momento di mettere fine a questa sagra delle ambiguità. Se il governo ha davvero intenzione di ridurre il deficit per il 2020, spieghi il prima possibile come intende farlo. Se invece ritiene giusto optare per manovre espansive, per esempio tagliando le tasse sul reddito, lo annunci in maniera collegiale, preparandosi alle inevitabili reazioni della Commissione e, soprattutto, degli investitori. Tria e il resto del governo sono ad oggi troppo distanti. Lega e 5 Stelle si assumano finalmente la responsabilità delle loro scelte.