Manfred Weber, cattolico bavarese di 46 anni, laureato in ingegneria, fondatore di un paio di imprese prima di diventare uomo politico e leader del Partito popolare europeo nel parlamento Ue, qualche mese fa si è presentato da Angela Merkel. Per la cancelliera tedesca aveva una domanda: che direbbe se lui si candidasse alla presidenza della Commissione di Bruxelles dopo le Europee?
Le elezioni sono a maggio e lei oggi sembra il candidato favorito nel Ppe per succedere a Jean-Claude Juncker alla Commissione. Sarà una sfida fra europeisti e nazionalisti anti-europei?
«L’Unione Europea e il nostro modo di lavorare insieme sono oggetto di una sfida dall’interno. Gli estremisti vogliono distruggere questa idea e là fuori anche Donald Trump, Vladimir Putin o il leader cinese Xi Jinping vogliono un’Europa debole. Queste elezioni europee sono un passaggio storico, non una scadenza ordinaria: noi europei dobbiamo decidere se vogliamo continuare a lavorare insieme».
In questo lei concorda con il presidente francese Emmanuel Macron?
«Sì, ma dobbiamo anche decidere cosa fare insieme. Nuovi accordi commerciali come quello con il Canada? E che rapporti con la Turchia?».
Non trova che una sfida davvero urgente sia l’immigrazione?
«È una questione aperta a cui non abbiamo ancora trovato una risposta, quindi i populisti e gli estremisti ne approfittano. Conto sulla presidenza austriaca e sul cancelliere Sebastian Kurz per far avanzare la prospettiva del Ppe: una protezione dei confini esterni forte e stringente, come fa la Bulgaria controllando e difendendo il confine con la Turchia. Il governo bulgaro ha il nostro sostegno e la stessa protezione dovrebbe esserci nei confini di mare. Ma poi all’interno della Ue ci dev’essere solidarietà, almeno un po’. Non accetto che certi Paesi d’Europa Centrale e Orientale non ne offrano».
Intanto Berlino e Roma litigano sui richiedenti asilo arrivati da noi e passati da voi. È giusto che la Germania li rimandi in Italia?
«Tocca ai due Paesi trovare un accordo bilaterale, come la Germania ha già con Grecia e Spagna. Ma come nel caso della nave Aquarius, questo è un esempio di come le soluzioni nazionali non funzionano e l’unica risposta possibile è europea».
I governi, in Italia come in parte in Austria, hanno vinto le elezioni promettendo soluzioni nazionali…
«I risultati delle elezioni si rispettano, non importa chi sia eletto, e tutti i governi devono rispettare i principi fondamentali della Ue. Tutti devono lavorare cercando un accordo con gli altri. Sull’immigrazione questo governo italiano segue una linea dura perché negli ultimi anni non ci sono stati abbastanza sostegno e comprensione in Europa per il vostro Paese. Si è perso troppo tempo. Capisco il comportamento del vostro governo e mi piace, quando mostra agli altri che non possono più prendere le distanze. Dall’altra parte però dobbiamo trovare soluzioni. Non ha senso dare la colpa a Bruxelles perché il problema non è nel Parlamento o nella Commissione Ue. A Bruxelles c’è una chiara maggioranza per una soluzione europea».
Dov’è il problema allora?
«L’egoismo nazionale. Gli Stati membri stanno fallendo di fronte alla sfida».
Matteo Salvini e Luigi Di Maio dicono che i sovranisti vinceranno alle Europee e allora cambia tutto, anche le regole di bilancio. Che ne pensa?
«Dobbiamo smettere di scaricarci addosso le colpe a vicenda. L’Unione Europea è basata su alcuni principi fondamentali e sullo stato di diritto. Ci sono regole concordate all’unanimità, anche dall’Italia, alla base di tutto. Ma se parliamo dell’economia italiana, vorrei dire qualcosa che va oltre il semplice rispetto delle regole e oltre Bruxelles. È essenziale discutere di come in Italia possano ripartire la crescita e gli investimenti, tutta Europa ne ha bisogno e anche Juncker ci aveva provato con il suo piano».
Ma come si superano i vincoli legati all’enorme debito pubblico?
«Come candidato alla presidenza della Commissione Ue, sono pronto a sedere con le autorità italiane per discutere di come rilanciare gli investimenti in infrastrutture, in ricerca e tecnologia e di come creare un ambiente che faccia sì che le piccole e medie imprese italiane non vogliano più trasferirsi all’estero, come fanno ora».
Vuole dire che bisogna migliorare il clima per le aziende, invece di aumentare i sussidi?
«In effetti. Non dobbiamo andare in cerca di nemici, ma entrare nella logica di lavorare insieme. Personalmente mi propongo come costruttore di ponti. Da bavarese sono cresciuto più vicino a Milano o a Vienna che a Berlino. Smettiamola di attaccarci e di chiamarci avversari».
La Lega è vicina al 34% nei sondaggi. Pensa possa mai entrare nel Ppe?
«Non è sul tavolo. Per le Europee del 2019 la Lega sta giocando in un’altra squadra e i nostri partner nel Ppe sono Forza Italia e Udc, anche se sull’immigrazione posso capire e sostengo tante delle iniziative di Salvini. Ma in molti campi non condividiamo le sue azioni. Noi vogliamo cercare soluzioni. Pensiamo che la politica si basi sulla ragionevolezza, non sull’aggressività».
Salvini si è alleato con Steve Bannon, l’ex consigliere di Trump che lavora a un’alleanza sovranista per le Europee. Che effetto le fa?
«Bannon non mi preoccupa. Gli europei e gli italiani capiscono benissimo che non abbiamo bisogno di lezioni da un ex consigliere politico americano. Noi dobbiamo aprire un capitolo nuovo in una Ue che non sia fatta di élite e burocrazia, ma di politica e lavoro comune per risolvere i problemi dei nostri cittadini».