La grande industria abita al Nord, ha ripreso a crescere ed è più performante quando i capitali sono italiani e se è quotata in Borsa. È questa è la fotografia che restituiscono i dati elaborati da Crif per il Sole-24 Ore, analizzando i bilanci delle imprese (non finanziarie) sopra il miliardo di euro di fatturato. Si tratta di un campione di 258 società, che ricondotte ai gruppi di riferimento scendono a meno di 200 realtà consolidate. Un drappello davvero sparuto di giganti, se si considera che in Italia sono registrate 6 milioni di imprese e sono 1,3 milioni quelle che depositano un bilancio. Il numero, poi, si riduce ancora se non si considerano le realtà quotate. Stiamo parlando di quelle società chiamate «unicorno», cioè aziende che in poco tempo e con tecnologie innovative hanno rivoluzionato il loro settore di riferimento.
La prima cosa che salta agli occhi, scorrendo la mappa territoriale riscostruita attraverso la banca dati Crif (su bilanci 2017 se già disponibili, altrimenti 2016) è che i tre quarti dei big si concentrano in sole quattro regioni: Lombardia (37,6% delle imprese), Lazio (20,2%), Veneto (9,3%) ed Emilia Romagna (8,9%). Se poi si aggiungono Piemonte (7,4%) e Toscana (5,4%) si arriva a coprire il 90% dello Stivale. Le altre 14 regioni valgono il restante 10% e il Sud è fanalino di coda, con rare eccezioni come Grimaldi nella navigazione e Adler nella componentistica automotive che brillano. L’attenuante è che su Milano e Roma gravitano le sedi legali di compagnie che generano produzione e occupazione in giro per il Paese.
Si spiega così perché, su un aggregato di 726,3 miliardi di fatturato del campione analizzato, più della metà sia concentrata tra il Lazio (234,7 miliardi) e la Lombardia (234 miliardi), seguiti da Piemonte (64,4 miliardi, dominante il peso del gruppo Fiat e di Vodafone), Emilia (55 miliardi, qui la parte del leone la fa il colosso francese della distribuzione farmaceutica Sanastera, seguito da Hera e da Coesia) e il Veneto (51 miliardi, in testa Volkswagen Italia e a ruota i big del discount Eurospin e Lidl e il numero uno dell’avicolo Aia-Veronesi). Simile la geografia anche per quanto riguarda la distribuzione dei 610.190 addetti complessivi del campione Crif, mentre la mappa cambia in termini di fatturato medio per addetto, con il Veneto in cima alla graduatoria (139,3 milioni), seguito da Piemonte (87,6), Lombardia (85,5) e Puglia (79 milioni).
«I principali indicatori di bilancio dipingono un quadro incoraggiante in termini di sviluppo, equilibrio finanziario e copertura. La crescita dell’Ebitda dal 5,5% al 5,9% conferma il buon andamento della redditività, sostenuta dalla crescita della domanda interna e delle esportazioni, mentre la politica monetaria accomodante agevola il processo di deleveraging con un rapporto tra gli oneri finanziari e il margine operativo lordo che si riduce dal 7,8% al 7,2%, il rapporto del debito sul patrimonio netto che scende di 20 punti (dal 221,9 al 202,7%) e questo sostiene la ripresa degli investimenti»,commenta Cristina Caprara, analytics manager di Crif.
Il manifatturiero vero e proprio è rappresentato da meno della metà del campione Crif e ha imprese più piccole (in media sotto i 2 miliardi di fatturato contro i 2,8 del panel, se si esclude Fca che droga il settore) ma allineate per redditività (Ebitda medio 9%). A dominare la parte alta della classifica è il comparto energia (multiutility e oil&gas): dai big quali Gse (prima in assoluto), Eni, Enel fino alle più piccole multiutility quali Metaenergia o Estra, c’è una popolazione di 49 società con un fatturato medio di 4 miliardi di euro. Un valore che è oltre due volte il dato del food (Cremonini in vetta) e della Gdo(Esselunga stacca di misura discount e coop)e tre volte le performance medie della chimica-farmaceutica (dove spiccano Versalis e Menarini), delle macchine (in testa Ali Spa che controlla i brand Carpigiani e Rancilio) e della moda (Prada, Armani e Calzedonia le maison più ricche).
Altro elemento: i giganti quotati in Borsa non solo hanno in media fatturati più alti di chi non approda al listino, ma anche margini decisamente migliori, attorno al 15% ovvero 6 punti sopra la media (Snam, Autostrade per l’Italia ed Enel superano il 50%). Così come i dati Crif confermano precedenti analisi Mediobanca e smentiscono luoghi comuni esterofili, perché le grandi imprese riconducibili a capitali stranieri performano peggio, con un Ebitda medio del 7 per cento.