Quando l’architettura dell’euro fu disegnata nei primi anni 90, nessun Paese come la Germania insisté perché si blindasse l’indipendenza dei banchieri centrali. Dovevano essere figure la cui storia passata e recente le rendesse libere da retropensieri. Solo così, era l’argomento, tutti avrebbero capito che la stabilità finanziaria e dei prezzi sarebbe stata protetta dalle incursioni della politica e degli interessi privati.
Un quarto di secolo dopo, in disbrigo di affari correnti dopo 150 giorni di paralisi politica, il governo di Berlino ha scelto la strada opposta: appoggia per il ruolo di vice-presidente della Banca centrale europea Luis de Guindos y Jurado, 58 anni, attuale ministro dell’Economia di Madrid e già responsabile di Lehman Brothers per Spagna e Portogallo quando la banca d’affari fallì. Un uomo di governo e di partito, non un banchiere centrale o un esperto di politica monetaria; un esperto di banche semmai, i cui trascorsi però non sono esattamente una medaglia da appuntarsi al petto.
La natura del problema si misura in un dettaglio che domani, quando la scelta sarà nelle mani dei ministri finanziari dell’area euro, può complicare il compito di Pier Carlo Padoan. In Italia è infatti illegale che un ministro passi direttamente ai vertici della banca centrale, proprio per tutelare l’indipendenza di quest’ultima. Padoan potrebbe dunque astenersi su Guindos, qualora si attenesse strettamente allo spirito della legge del Paese che rappresenta. Al contrario una razionale riluttanza a trovarsi isolato e la Realpolitik dei rapporti con Madrid — nel pieno dell’offerta del gruppo veneto Atlantia sulla spagnola Abertis — potrebbero spingere Padoan a dare il voto al collega iberico. La scelta è difficile anche perché l’altro candidato alla vicepresidenza della Bce è quasi perfetto: Philip Lane, 48 anni, dottorato ad Harvard, ex docente alla Columbia e al Trinity College, ha una lunga carriera internazionale ed è riconosciuto come uno degli economisti più influenti al mondo. Di sicuro lo è nel consiglio direttivo della Bce, dove siede come governatore della Banca d’Irlanda: conosce l’istituzione, sa come agire al suo interno e ha il rispetto e il tacito sostegno di moltissimi fra i suoi pari. Eppure la Germania appoggia Guindos, non Lane. Anche la Francia accetta Guindos: il candidato meno qualificato sembra a un passo dal prevalere sul candidato ideale. Possibile che l’Europa sia diventata così mediocre nel selezionare la propria classe dirigente? Non si sta facendo sentire solo la preoccupazione diffusa nelle capitali di non alienarsi i rapporti con Madrid. A ben vedere, dietro questo apparente paradosso si intravede una competizione più ampia fra Francia e Germania, che nei prossimi diciotto mesi deciderà molto del futuro dell’euro.
Berlino appoggia lo spagnolo nell’idea di preparare la strada a un candidato tedesco alla presidenza della Bce, quando i governi dell’area euro dovranno accordarsi nei prossimi sedici mesi. Il principio di un equilibrio geografico fra personalità del Nord e del Sud — non scritto, né sempre applicato — darebbe a Berlino un argomento per sostenere che il successore di Mario Draghi dal novembre 2019 dovrebbe essere Jens Weidmann. Il governatore della Bundesbank in questi anni non ha mai nascosto di essere stato nella minoranza perdente su tutte le scelte fondamentali: quelle del 2012 che placarono il panico sul debito di Roma e Madrid, il taglio dei tassi sotto zero e gli interventi del quantitative easing decisi nel 2015. Ma oggi l’Eurotower è guidata dall’alleanza fra due uomini del Sud Europa (l’attuale vicepresidente in scadenza è il portoghese Vítor Constâncio) e la fortissima diffidenza radicata fra gli elettori in Germania verso la Bce ora impone al governo di Berlino di fare di tutto per non lasciarne la guida ad altri ancora una volta. Per questo un favore tedesco a Madrid oggi può diventare un favore restituito da Madrid domani, inserendo un cuneo fra i Paesi del fianco Sud dell’area euro.
Le ragioni di Parigi non devono essere poi molto diverse. Il presidente Emmanuel Macron avverte l’indebolirsi della cancelliera Angela Merkel in Germania e capisce che questo è il momento per far sentire di più il peso della Francia in Europa. Per lui appoggiare un candidato iberico significa muovere un primo passo per evitare che la Spagna resti in pieno nel campo d’influenza tedesco: peraltro il premier Mariano Rajoy, un alleato di Merkel, sta crollando nei sondaggi e potrebbe dover affrontare elezioni anticipate tra non molto. Malgrado le dichiarazioni, a Parigi e Berlino le idee su come vada gestito l’euro restano profondamente diverse. E anche Macron ha (almeno) un candidato potenziale alla guida della Bce: il governatore francese François Villeroy de Galhau. Ovviamente il negoziato dei prossimi mesi sarà anche sulle istituzioni e sulle regole, non solo sui nomi. Ma Draghi hanno dimostrato come anche questi ultimi contano, eccome.