Il Verbano Cusio Ossola voterà il 21 ottobre per lasciare il Piemonte e unirsi alla Lombardia. In Veneto è uno stillicidio dopo il clamoroso caso di Sappada passata lo scorso anno al Friuli Venezia Giulia, si è riproposta la querelle dei comuni ladini con Cortina d’Ampezzo al centro, desiderosi di passare all’Alto Adige e infine si è aperto nei giorni scorsi il contenzioso sulla Marmolada in procinto di trasferirsi in Trentino.
A Nord Est la motivazione è quasi sempre quella di passare dal Veneto a legislazione ordinaria a una delle due regioni confinanti a statuto speciale, nel caso della Marmolada c’è poi in ballo la costruzione di una funivia. Il Verbano Cusio Ossola non guadagnerebbe automaticamente ma coronerebbe un vecchio sogno dei leghisti locali, autonomisti da sempre e addirittura amici ante litteram di Umberto Bossi.
In tutti questi casi i promotori dei referendum tendono a motivare le loro proposte con documenti d’archivio che tirano in ballo vecchissime prese di posizione ma alla fine si oscilla tra folklore e economia. La Regione Piemonte per scongiurare la secessione del Verbano ha offerto un posto da consigliere regionale ad hoc, i senatori Svp all’inizio di questa legislatura hanno presentato un disegno di legge per Cortina, il consiglio regionale del Veneto si è riunito appositamente sulla cresta della Marmolada per ribadire l’inviolabilità dei confini.
Dietro tutte queste vicende e queste passioni piccole e grandi c’è un comune denominatore: i confini amministrativi delle Regioni non tengono più, specie nel Nord che si configura sempre di più come un unicum integrato. La Regione A4, dal nome dell’autostrada che la percorre tutta orizzontalmente. Attorno alla Lombardia ci sono due casi macroscopici come quelli della piemontese Novara e della emiliana Piacenza, che pur senza aver promosso nessun referendum, gravitano interamente sull’area milanese. Poi se ragioniamo in termini di mercato del lavoro abbiamo assistito almeno per le fasce alte a una progressiva integrazione per cui ci si sposta in migliaia quotidianamente valicando i confini regionali. Che in questo caso oltre a essere geografici sono anche di merito visto che l’autonomia regionale in materia di gestione del mercato del lavoro è molto pronunciata e abbiamo legislazioni differenti tra regioni limitrofe.
Al di là delle persone ovviamente i flussi economici parlano di territori integrati che fanno apparire i confini amministrativi come ottocenteschi.Per cui capita che i veneti rivendichino l’Alta Velocità Venezia-Milano ma i lombardi se ne infischino. «L’identità dell’istituzione regionale si sta allentando — spiega Marco Baldi, ricercatore del Censis che ha appena ultimato una ricerca in materia — e poi le Regioni al loro interno hanno aumentato i divari, le province più periferiche ne soffrono e si guardano attorno».
Baldi spiega anche che invece di guardare alle cooperazioni con le altre regioni limitrofe hanno sempre privilegiato il contenzioso mediatico con Roma. Non ci sono accordi trans-regionali di un certo peso e la Conferenza delle Regioni non riesce a filtrare questo tipo di istanze. «E anche ipotesi amministrative più larghe come le macro-regioni non hanno camminato. Una volta se ne faceva portavoce la Lega, poi la Società Geografica aveva ipotizzato una riorganizzazione amministrativa dei territori ma non è materia all’ordine del giorno».
La richiesta di autonomia avanzata — pur con modalità differenti — da Veneto, Lombardia ed Emilia può affrontare la questione delle piccole secessioni e ricomporre lo iato tra confini amministrativi ed economia reale? Secondo Baldi è difficile perché l’autonomismo si batte per ampliare le funzioni regionali ma non solleva il tema del territorio e dei conflitti di confine.
«Certo che i confini amministrativi sono superati — sostiene Roberto Maroni, ex governatore della Lombardia —. Pensi al caso della Camera di Commercio di Pavia, la si voleva mettere assieme ad Alessandria e Novara per omogeneità economica legata alle coltivazioni del riso e all’agricoltura ma non è stato possibile. Eppure si sarebbero aiutate le imprese».
Maroni pensa che si debba valutare la taglia minima di alcune Regioni come il Molise, l’Umbria o la Lucania nell’ambito di una riforma delle autonomie locali che questo governo potrebbe tranquillamente affrontare («ma non lo farà»). L’accordo di febbraio firmato tra i tre governatori Maroni, Zaia e Bonaccini e il governo Gentiloni — a suo giudizio — fornisce lo strumento per rendere più flessibile l’istituzione e metterla in grado di rapportarsi ai flussi reali. «Purtroppo però non mi pare che Lega e 5Stelle a Roma abbiano intenzione di muoversi in direzione di riformare l’esistente e quindi avremo ancora la proliferazione di piccoli referendum più o meno folcloristici».