Quante piante siete in grado di identificare, nel corso di passeggiate urbane o campagnole? E quanti animali? Se il numero che avete risposto alla seconda domanda supera di gran lunga quello della prima, non sentitevi in colpa: sembra che la causa di questa miopia selettiva non sia solamente la vita sempre più cittadina. Il nostro cervello è in grado di processare molte meno informazioni di quelle che gli giungono dagli occhi: tra queste, sceglie solo quelle che evolutivamente si sono rivelate più importanti, come gli oggetti in movimento o quelli dai colori accesi.
“Sfondi verdi o cromaticamente uniformi come quelli che vedo a terra o attorno a me nel bosco, più o meno immobili e non aggressivi, sono invece un rumore di fondo”: un unicum indistinguibile se non facciamo attenzione, o non concentriamo il nostro campo visivo su di loro. Ecco perché Le piante son brutte bestie di Renato Bruni rappresenta un invito ad abbassare la testa e a riscoprire i numerosi componenti che non distinguiamo nel tappeto verde ai nostri piedi.
Il ritmo del libro è lo stesso delle piante di cui parla: suddiviso in stagioni, segue il ciclo vitale dei suoi verdi protagonisti, catturandoci con la vivace primavera e andando in sonno in inverno. Scopriamo così i meccanismi di apertura e chiusura dei fiori, puntuali al punto da far progettare a Linneo un orologio: un’aiuola suddivisa in quadranti che, a suo dire, avrebbe dovuto mandare in pensione tutti gli orologi meccanici svedesi. Ma il susseguirsi delle stagioni, il diverso rapporto tra sole e ombra, le variazioni del clima, del tempo atmosferico e della latitudine renderebbero irregolare lo scorrimento delle “lancette”, proprio per la plasticità e l’adattabilità di questi organismi.
Seguiamo il viaggio appassionante dei semi e non riusciamo a non provare empatia per un albero rimasto solo al mondo (maschio), per il quale gli scienziati stanno cercando di ricreare, con vari incroci, una compagna, per fargli sperimentare le gioie della paternità. Non senza stupore accompagniamo i tentativi dell’autore (bambino) di concimare l’orto del nonno con la propria pipì, idea oggi supportata da alcune ricerche scientifiche, ma che deve essere effettuata con gli opportuni modi e diluizioni, oltre che per gli ortaggi giusti.
E anche se le piante riescono a sopravvivere grazie all’interazione con numerosissimi funghi e batteri (si stima che sulla superficie delle foglie di tutte le piante del mondo convivano 100 volte più cellule microbiche di quante stelle ci siano nell’universo, per un totale di un miliardo di miliardi di miliardi), in grado di svolgere per loro azioni indispensabili, non bisogna pensare che si tratti di esseri benevoli, posti in un universo bucolico. Il nuovo angolo del giardino che sta progettando l’autore ne è la prova: dalle piante che si nutrono di insetti a quelle che li catturano per sfruttare gli escrementi dei ragni che se ne cibano, fino ad arrivare alla Hippomane mancinella, l’albero della tortura degli Aztechi: ustiona la pelle, bruciando il suo legno ci si ritrova con terribili irritazioni agli occhi e cecità temporanea. Il fumo, tossico se inalato, si deposita sugli alimenti cotti, rendendoli ustionanti per le mucose orali e gastriche durante la digestione.
Le colorate illustrazioni ci fanno scoprire che la forma delle fragole dipende da come si è verificata l’impollinazione e che l’edera può contare su vere e proprie nanoparticelle di bostik vegetale per aderire a tronchi e pareti. Da una chiara infografica capiamo come i cambiamenti climatici stiano modificando il modo in cui le piante colonizzano le aree montane, spostandosi sempre più in alto e mettendo in difficoltà chi non ha un ambiente diverso in cui potersi trasferire dopo lo sfratto. Peccato non poter contare su più immagini, soprattutto quando si viene a conoscenza di abitudini particolarmente bizzarre di piante dal nome esotico.
Non manca un occhio di riguardo per l’ambiente, con i consigli per sprecare meno acqua, bagnando molto e meno spesso, facendo quindi crescere le radici in profondità, dove la terra è più umida. In più, colpiscono i dati sull’inquinamento legato a fertilizzanti e diserbanti, che per il solo giardinaggio sono pari a quelli provenienti dai terreni agricoli: chi cura il prato di casa non è soggetto a limitazioni, né legislative né di profitto, dovendo soddisfare soltanto il proprio occhio. Gli alberi, però, possono dare un grosso aiuto nell’assorbimento del particolato PM2,5 e PM10, se si riesce a disporli in modo da facilitare la loro azione di filtro e se si scelgono le tipologie giuste: non basta piantumare in modo casuale, e non si tratta comunque di scusanti per inquinare ancora di più.
Un vero nettare per gli appassionati di giardinaggio, che troveranno tra queste pagine innumerevoli consigli e spunti per migliorare il loro approccio con quelle “brutte bestie” delle piante, e per i semplici curiosi, che incontreranno moltissime chicche da leggere ad alta voce per condividere con altri la propria incredulità sul mondo verde. Un modo anche per capire quanto e come possano essere più ecosostenibili i giardini, o per rendersi conto di quante piante ancora sfuggano alla classificazione, poco raggiungibili nel folto della foresta tropicale, meno coccolose di orsi polari e panda, ma che rischiano di scomparire prima ancora di avere un nome.
*Oggiscienza, 1 agosto 2017