La manovra è come il calciomercato. All’inizio dell’estate c’è tempo per sognare un po’ di tutto, dal taglio delle tasse all’arrivo di Messi. Poi il calciomercato chiude, il Parlamento riapre e non tutti quei sogni si trasformano in solide realtà. Anzi. Andrà così anche per la legge di Bilancio di quest’anno, che il governo deve presentare entro la metà di ottobre? Probabile. Anche perché le proposte in lista d’attesa sono particolarmente impegnative. Al punto da far salire la stima dei costi, ancora ballerina visto che siamo all’inizio di un lungo percorso, verso la soglia dei 45 miliardi di euro.
Lo stop all’aumento dell’Iva
Le coperture sono un rebus, perché il costo effettivo di una misura dipende da come viene disegnata nei particolari. Ma una certezza c’è, e non è un dettaglio. Senza un intervento nella prossima legge di Bilancio, dal primo gennaio dell’anno prossimo aumenterebbe l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto. Sono le famose clausole di salvaguardia, aumenti automatici per il futuro messi a garanzia della tenuta dei conti pubblici. Il governo ha più volte giurato questo aumento non ci sarà, con una rara unità di intenti tra Lega e Movimento 5 Stelle. Per farlo, però, servono 23 miliardi di euro. Quasi l’intero costo della manovra dell’anno scorso, semplicemente per fare in modo che nulla accada. Il costo di questo capitolo della manovra potrebbe scendere se si procedesse a un aumento dell’Iva selettivo, cioè solo per alcuni beni. O se parte delle risorse arrivassero da una revisione delle agevolazioni fiscali, studiata ogni anno ma poi sempre rimasta nei cassetti. Tutte e due le operazioni, però, sono politicamente scivolose: anche se in maniera indiretta si tratterebbe di un aumento delle tasse, mentre il governo un giorno sì e l’altro pure dice di volerle abbassare.
La Flat tax
Dovrebbe essere la misura simbolo della prossima manovra, su spinta della Lega. Il progetto è ancora in progress ma le ultime bozze individuano una tassa piatta al 15 per cento per i redditi famigliari fino a 55 mila euro lordi l’anno. Al di sopra di questa soglia, ci potrebbe essere una limatura delle aliquote oggi previste per l’Irpef, in particolare quella al 41%, che riguarda gli scaglioni di reddito (individuale non famigliare) tra i 55 mila e i 75 mila euro lordi l’anno. Quanto costa l’operazione? Almeno 12 miliardi di euro l’anno. Anche se molto dipende da come verranno disegnate le detrazioni associate alla Flat Tax che dovrebbero consentire, anche con una tassa uguale per tutti, di rispettare il principio costituzionale della progressività. A questo capitolo si dovrebbe poi aggiungere il pacchetto di misure a favore della famiglia. Nelle intenzioni si dovrebbero utilizzare i fondi che quest’anno si risparmieranno dai fondi per il reddito di cittadinanza e Quota 100, visto che le domande sono inferiori alle attese. Ma ci sono due problemi. Quelle stesse risorse dovrebbero essere portate in dote a Bruxelles per evitare la procedura d’infrazione. E poi, quando si apre il file «misure a favore di…», si sa da dove si parte ma non dove si finisce. E quindi potrebbero arrivare costi aggiuntivi.
Il salario minimo
Si potrebbe pensare che il salario minimo per legge, che il Movimento 5 Stelle vorrebbe fissare a 9 euro lordi l’ora, non abbia costi per lo Stato perché si scarica solo sulle imprese, che dovrebbero pagare di più i loro dipendenti. E invece no. Prima di tutto perché anche lo Stato è impresa, o meglio datore di lavoro. Per adeguare ai 9 euro lordi l’ora la paga di tutti i dipendenti pubblici l’Istat dice che lo Stato avrebbe un costo aggiuntivo di 700 milioni di euro l’anno. Non solo. Sia Lega che Movimento 5 Stelle dicono che il salario minimo non dove far aumentare i costi per le imprese e che questo obbiettivo può essere raggiunto se in parallelo si tagliano le tasse sul lavoro, un altro grande classico di ogni manovra. Lo Stato incasserebbe meno tasse facendosi carico dei costi aggiunti del salario minimo, mentre per le aziende non cambierebbe nulla. Bene. Ma se lo Stato incassa meno tasse siamo davanti a un nuovo costo per le casse pubbliche. Se lo Stato volesse compensare completamente i maggiori oneri a carico delle imprese, sempre secondo l’Istat, il conto per lo Stato sarebbe pari a 4,3 miliardi di euro.
Le spese inevitabili
C’è poi un’ultima voce nel conto. Una voce nascosta ma quasi impossibile da aggirare. Sono le cosiddette spese indifferibili, come ad esempio il rifinanziamento delle missioni militari. Il conto si aggira intorno ai 3—4 miliardi di euro. Mentre quello totale arriva con questa ultima aggiunta a sfiorare i 45 miliardi. Dopo i sogni di mezz’estate, insomma, ci sarà l’incubo di inizio autunno: trovare le coperture, i soldi necessari per finanziare il tutto. A meno che non si decida di lasciar correre il deficit, con tanti saluti al tetto del 3% sul Pil imposto dall’Europa. Ma anche quello sarebbe un costo. Scaricato sul futuro.