C’è chi ci punta con convinzione da tempo e promette di raggiungere l’obiettivo in tempi record. E c’è chi, dopo averla snobbata per anni, sembra aver cambiato idea. Sta mutando il quadro, nell’Europa centro-orientale, verso l’euro, moneta unica che ricomincia a conquistare attrattività. Mentre Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca ancora nicchiano, a puntare all’ingresso nell’Eurozona sono ora in particolare i tre Paesi membri dell’Ue più poveri per Pil pro capite, Bulgaria, Croazia e Romania, prossimi candidati a mettere in soffitta le rispettive valute nazionali per adottare l’euro. Ultima in ordine di tempo nello scegliere la nuova rotta, la Romania, dove il governo ha annunciato proprio in questi giorni che è iniziata una «nuova fase» verso la futura adesione all’Eurozona del Paese, una prospettiva che sembrava essere stata archiviata, o almeno “congelata”, un paio d’anni fa. Ma i tempi cambiano, l’economia romena cresce a ritmi sostenutissimi – ha superato nel 2017 quella greca per valore del Pil – e l’euro diventa un’opzione da prendere in alta considerazione.
Bucarest che non ha indicato una data precisa per centrare il bersaglio, ma ha anticipato che le autorità lavoreranno nei prossimi mesi per elaborare e completare entro la fine dell’anno una precisa strategia d’ingresso nella divisa europea, dopo aver analizzato i fattori di «convergenza». La strada per la Romania è segnata. «La moneta unica rimane la prova più tangibile dell’integrazione europea e la Romania si impegna a entrare nell’Eurozona il prima possibile», ha assicurato anche il presidente, Klaus Iohannis, da mesi in rotta di collisione con l’esecutivo, ma non sul tema euro, che porterà «benefici» concreti ai «cittadini e all’intera economia», ha assicurato il capo di Stato romeno. Romania che avrà come compagno di strada nell’avvicinamento alla zona euro – di cui, a Est, fanno già parte Paesi Baltici, Slovacchia e Slovenia – anche la vicina Bulgaria, ancora oggi il Paese più povero della Ue, ma convintissimo ad archiviare il lev. Bulgaria che, a fine aprile, ha annunciato di voler entrare nel meccanismo Erm-2 – l’”anticamera” dell’euro dove i candidati rimangono per almeno due anni – entro la fine del 2018, dopo aver fatto domanda d’ingresso nelle prossime settimane.
Sofia già oggi rispetta i criteri formali d’adesione – un surplus nei conti pubblici, un debito molto basso, inflazione moderata – e «sono ottimista che potremo congratularci con noi stessi entro un anno», ha affermato fiducioso il premier bulgaro Borissov. Sofia che può contare, nella sua corsa verso l’euro, nel «sostegno della Commissione europea», ha confermato questo mese un report di Erste Bank, in cui si cita anche il Commissario Ue agli Affari Economici, Pierre Moscovici, che ha indicato nella Bulgaria il potenziale «prossimo membro dell’Eurozona». Ma in che tempi? Non così rapidi, sembra. Serviranno, nelle più rosee delle ipotesi, «almeno tre anni» ha annunciato martedì il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, che ha precisato che Sofia dovrà prima essere ammessa nell’Unione bancaria, il sistema di vigilanza del settore a livello Ue, una prospettiva che non piace particolarmente a Sofia. Lanciatissima, verso l’euro, rimane infine la Croazia, che la settimana scorsa ha impresso una significativa accelerazione con l’adozione da parte del governo della “Strategia per l’introduzione dell’euro come moneta ufficiale” nel Paese. Introduzione che avverrà nei prossimi «cinque-sette anni», ha specificato l’esecutivo, ricordando che già oggi l’80% dei depositi bancari nel Paese sono denominati in euro e che praticamente tutti i requisiti sono già stati soddisfatti. Manca quello del debito pubblico, che scenderà però al 65% entro il 2012 dal 78% di fine 2017, ha promesso il premier Plenkovic, assicurando che il calo è uno dei segnali che «il governo sta conducendo una politica economica responsabile». E ricordando ai cittadini che tutte le previsioni e stime già fatte dimostrano che l’introduzione dell’euro «porterà benefici sostanziali». Anche per Bruxelles che ha bisogno di “rinforzare” il progetto europeo.