Si indebolisce il peso dell’ex siderurgia di stato, fino quasi a scomparire in alcuni casi, mentre si consolidano i poli siderurgici della Lombardia e del Veneto, che dalla dimensione di realtà «tascabili» dei decenni scorsi sono ormai cresciuti, fino a diventare in molti casi delle piccole multinazionali. La cartina geografica dell’acciaio italiano cambia, certificando nel triangolo Brescia-Udine-Cremona (almeno per quanto riguarda l’export) il cuore pulsante di questa industria, a scapito delle cattedrali dell’ex Finsider. Lo certifica un’analisi del centro studi di Siderweb, la community della siderurgia italiana, elaborando i dati Istat relativi all’export di acciaio, di tubi e di altri prodotti della trasformazione dell’industria siderurgica.
La prima provincia italiana per vendite di prodotti siderurgici all’estero è Brescia, con un controvalore di 1.587 milioni. Si tratta di un primato che per la verità dura da alcuni anni, con un aumento del 19,2% del valore dell’export rispetto all’anno scorso. Il confronto con il 2008 fa segnare ancora un gap del 19,8%, ma «bisogna considerare – spiega Gianfranco Tosini, del centro studi di Siderweb -, che rispetto ad allora i prezzi sono diminuiti mediamente di circa il 10,3 per cento». In provincia di Brescia è concentrata la maggior parte degli impianti della siderurgia a forno elettrico italiana, specializzata nella produzione di lunghi per edilizia, ma anche acciai speciali per automotive e meccanica. Si tratta di campioni nazionali come Feralpi, Alfa Acciai, Ori Martin, Ferriera Valsabbia, Acciaierie Venete, Iro, Duferco, Riva forni elettrici. La Germania è la principale destinazione per le vendite estere: negli anni scorsi questo primato spettava all’Algeria, ma il paese nordafricano ha rallentato notevolmente l’anno scorso, ponendo un freno all’import con un meccanismo di licenze, dopo avere congelato per quasi tutto l’anno i flussi. Altro partner rilevante è la Francia, mentre crescono, all’interno dell’Europa, nuovi protagonisti come Ungheria, Rep. Ceca, Polonia, Slovenia. Fuori dall’Ue sono da registrare le performance positive di Svizzera e Turchia.
Al secondo posto tra i poli siderurgici italiani c’è Udine, provincia all’interno della quale gravitano, tra le altre, le attività di due pesi massimi dell’acciaio come Pittini e Danieli (che opera attraverso la contollata Abs). Il controvalore di Udine (1.541 milioni) è in crescita del 41,9% sull’anno precedente, con un dinamismo maggiore rispetto a Brescia, in grado di azzerare il gap con il 2008 (il differenziale è positivo dell’1,8%). Udine, come è normale vista la collocazione geografica, vanta a differenza di Brescia una maggiore esposizione verso Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovenia; anche in questo caso, però, è la Germania la prima destinazione. Al terzo posto della classifica per export c’è Cremona, con 1.121 milioni (+21% sull’anno precedente), riconducibili all’Acciaieria Arvedi, specializzata nella produzione di laminati piani e di tubi. Seguono, in graduatoria, Milano (1.102 milioni), Mantova (978 milioni, legati al gruppo Marcegaglia) e Vicenza (941 milioni, in questa provincia sono attivi, tra gli altri, Beltrame e Valbruna).
Nella parte bassa della classifica, e in alcuni casi ancora più sotto, ci sono i vecchi cicli integrali, insieme agli altri poli della ex siderurgia statale. In questo gruppo chi sta meglio è Terni, rivitalizzata dall’ultimo piano industriale di ThyssenKrupp per Ast: in 10 anni ha perso il 17% ma nel 2017 è risalita all’ottavo posto con 683 milioni di export, con una crescita attribuibile sia alle performance sui mercati comunitari che su quelli extra Ue. Ast però paga pegno su Torino (chiusura del sito e trasferimento della linea di laminazione a Terni), trascinato al ventesimo posto della classifica anche dalla chiusura della Vertek di Condove, appartenente alla ex Lucchini. Proprio Piombino-Livorno, a sua volta, è una delle «cattedrali» sparite dai radar: con l’afo ormai chiuso e con l’export ridotto a circa 130 milioni è ormai uscita dalla classifica dei primi 20 poli italiani.
Resiste ma perde posizioni la provincia di Taranto: l’anno scorso l’export è stato di 455 milioni, risultato che vale il tredicesimo posto, con un calo del 70% (e la perdita di nove posizioni) rispetto a dieci anni fa. L’analisi di Siderweb evidenzia che Taranto, nell’ultimo anno, ha perso terreno soprattutto nei flussi verso i paesi extraeuropei (le vendite all’interno dell’Ue nel 2017 sono aumentate). «È plausibile ritenere – spiega Tosini – che il calo delle vendite nei paesi terzi dello stabilimento di Taranto dell’Ilva possa anche essere dovuto alla scelta di utilizzare Genova come porto di partenza delle esportazioni di laminati piani verso i Paesi extra Ue». L’export dal capoluogo ligure (618 milioni), al dodicesimo posto, negli ultimi 10 anni è cresciuto del 125%, +37% nell’ultimo anno.