Di imprese che, nelle stagioni più difficili della loro esistenza, chiedono sacrifici ai dipendenti è pieno il mondo. La contropartita offerta, generalmente, è la sopravvivenza dell’azienda: per il lavoratore la salvaguardia del posto, almeno fino al prossimo testacoda della congiuntura. Ma capita anche che un’azienda decida di restituire ai lavoratori almeno parte dei sacrifici sofferti. Nel 2017, alla Afv Beltrame, acciaieria vicentina con sei stabilimenti, duemila operai e 1 miliardo abbondante di fatturato, è accaduto proprio questo: azienda e sindacati hanno firmato un accordo che prevede la restituzione, sotto forma di “integrativo” al premio di risultato, di circa il 75% del valore delle ore lavorative che i dipendenti (praticamente tutti “colletti blu”) hanno perduto a causa della cassa integrazione e della solidarietà.
Il meccanismo studiato insieme ai tecnici della Confidustria di Vicenza consente una redistribuzione che tiene conto tanto delle ore di lavoro perdute quanto della proporzione sullo stipendio di ciascuno degli oltre 400 dipendenti interessati, quasi tutti quelli che lavorano negli stabilimenti di San Didero (in provincia di Torino) e San Giovanni Valdarno (Arezzo), oltre la metà di quelli della sede principale di Altavilla Vicentina, nell’enorme area industriale a pochi chilometri dall’uscita della A4, l’aorta dell’industria manifatturiera. La cifra redistribuita non è imponente — in totale 280mila euro, cioè una media di circa 700 euro per ciascun lavoratore (ma tra le due punte, la più alta e la più bassa, la distanza è ampia) — e riguarda comunque solo l’ultimo anno, il 2017, nel corso del quale il gruppo ha incrementato i ricavi del 13,7% e ha visto crescere l’Ebitda (il margine operativo, cioè il parametro a cui era agganciato il calcolo del bonus) dagli 86,1 milioni dell’anno precedente a quasi 95 milioni di euro.
Prima del 2017 l’azienda — fondata nel 1896, è l’impresa familiare più anziana del Veneto, siamo alla quinta generazione — aveva attraversato anni durissimi a causa della pesante contrazione del mercato e una lunga ristrutturazione che aveva provocato la chiusura di alcuni stabilimenti minori e la perdita di quasi un migliaio di posti di lavoro. I sacrifici, dunque, sono stati pesantissimi e prolungati nel tempo. Ma il segnale dell’accordo sindacale dell’ultimo anno, in una stagione in cui l’accento sulla contrattazione di secondo livello tra l’azienda e i suoi dipendenti è sempre più marcato, merita di essere colto. «Le rappresentanze sindacali dei nostri stabilimenti hanno sempre dimostrato un grande senso di responsabilità — dicono i dirigenti delle risorse umane del gruppo Afv Beltrame — Hanno accettato la sfida e ora è arrivato il momento di raccogliere i risultati che testimoniano il valore delle relazioni industriali, quando vengono usate bene». Il messaggio nella bottiglia è doppio: «Primo, si redistribuisce la ricchezza laddove viene prodotta.
Secondo, la redistribuzione risponde a criteri di equità, che ancorano il premio alla dimensione dei sacrifici sostenuti». I sindacati apprezzano: «Non accade tutti i giorni che un’azienda decida di ristorare i lavoratori che hanno contribuito di tasca propria alla ristrutturazione — dice il segretario provinciale della Fiom-Cgil Maurizio Ferron — Alla Afv Beltrame gli ammortizzatori durano da parecchi anni e i dipendenti hanno subito decurtazioni significative tanto della retribuzione quanto dei premi di risultato. E, durante le ore in acciaieria o al laminatoio, hanno dovuto far fronte a carichi di lavoro più pesanti». Gli ammortizzatori sono ancora in corso, tra l’altro, perché l’azienda denuncia ancora un gap del 20-25% rispetto al pieno utilizzo della capacità produttiva. «Il mercato non è ancora quello che vorremmo, ma i risultati raggiunti grazie al lavoro di tutti per l’interesse comune sono straordinari». Piccola storia nobile. Che se poi un giorno potesse vantare innumerevoli tentativi di imitazione, quello sarebbe un giorno migliore per la storia un po’ grigia, quantomeno in Italia, delle relazioni industriali.