Nel fare ricerca territoriale o piccole inchieste da microcosmo sia nei piccoli comuni che nei paesi, o nelle città medie fino ai margini dello spazio metropolitano, si verifica che le questioni importanti oltre che le polarità economia/lavoro rimandano spesso allo spazio di posizione dell’abitare, alla mobilità ed alle reti. Tematiche da nuova geografia territoriale da urbanisti. Come se lo spazio urbano si fosse ormai dilatato mangiandosi ciò che stava a contorno, il sub-urbano, il contado per dirla con Braudel. Seguendo l’evoluzione dei processi economici lo si capisce. Sia il postfordismo della fabbrica diffusa e dei distretti che l’evoluzione delle forme dei lavori, sono passati dalla catena di montaggio alle filiere delineando il venire avanti di una città infinita, ben visibile nei suoi albori sull’asse lombardo che va dall’aeroporto di Malpensa verso Brescia, Verona.
Tendenza che, se osservata oggi, seguendo i fenomeni strutturali dei distretti evoluti in piattaforme territoriali di medie imprese in metamorfosi da 4.0 e da bacini dei lavori caratterizzati dal saper fare che incorpora saperi e conoscenze, il lavoro ibrido ed intermittente, sembra delineare una sussunzione del locale nell’urbano, dell’urbano nel metropolitano come unico spazio per contare nella connectography che disegna il mondo per poli di reti funzionali.
Se poi si aggiunge che, temi e problematiche una volta solo da città –come periferie, povertà, disagio, emarginazione, migranti, questione della casa – sono oggi all’ordine del giorno di quelle che una volta erano le comunità locali, parrebbe che il nostro destino sia quello di ritrovarci nell’evoluzione della città infinita in megalopoli. In quella che i più avveniristici globalisti tra noi, declinano nella megalopoli Padana che va da Torino a Trieste agganciando la valle dei motori della via Emilia Bologna e via andare… come fosse una Los Angeles nel nuovo produrre e nel lavorare. Futurologia estrema che però interroga il nostro balbettare istituzionale tra aree metropolitane, abolizione delle Province, il delineare aree vaste, aggregazione di Comuni, aree interne e ragionare di autonomie funzionali nel territorio.
Il che ci induce a scavare per trovare risposte nel rapporto tra il territorio e il capitalismo delle reti, tra evoluzione del manifatturiero ed economia della conoscenza a base urbana, sul come sarà e come si evolve l’Italia delle cento città, dei Comuni, dello sviluppo locale, dei distretti, delle piattaforme e dei distretti della grande bellezza, insomma delle nostre specificità e della nostra identità. Ho trovato risposte in un’utile cassetta degli attrezzi da usare per capire, in un progetto di ricerca di interesse nazionale (Prin) realizzato da una rete di nove università italiane (Politecnico di Torino, Università del Piemonte Orientale, Politecnico di Milano, Iuav Venezia, Università di Firenze, Sapienza di Roma, Federico II di Napoli e Università di Palermo) e dal dialogare con il suo coordinatore Alessandro Balducci di postmetropoli: ripensare l’urbano.
Ciò che mi ha colpito rileggendo i suoi scritti in “Oltre la metropoli” e “Ripensare la questione urbana” andando oltre distretti e piattaforme dal basso e capitalismo delle reti dall’alto, é il suo sostenere che «occorre guardare all’urbano come processo permanente di scomposizione e ricomposizione del rapporto tra spazio e società». Il mettere in mezzo, tra flussi e luoghi, la società. Ed è proprio partendo dall’analisi dei luoghi, da Torino a Palermo che la rete di lavoro tra le Università ha elaborato un Atlante dell’urbano regionale. Metafora di ricerca per «riconoscere le specificità del contesto italiano, l’Italia in questo come in tanti altri campi Paese della biodiversità». Da qui, una selezione di questioni sociali da cui partire per capire, come lo spalmarsi nell’urbano regionale della popolazione straniera più da Roma in su che altrove, non condensata solo nelle metropoli ma anche nelle cento città e nei paesi. O il mutare della composizione dei nuclei famigliari e l’affievolirsi di questo nucleo comunitario nell’abitare. Il seguire il tema della sofferenza urbana, della disoccupazione e del disagio abitativo sino alla densità degli spostamenti legati a motivi di lavoro e il mappare la diffusione della banda larga.
L’atlante dell’urbanizzazione regionale disegna un’urbanistica plurale e differenziata seguendo indicatori sociali come l’indice di Gini, il reddito medio pro capite, il disagio, i flussi di pendolarità verso grandi città, città medie e piccole sino ai piccoli comuni, scomponendo così la città infinita metropolitana in geocomunità territoriali sostanziate da nodi di reti, da città grandi quelle che abbiamo denominato aree metropolitane, le “cento città” che le circondano a loro volta nodo di reti di un territorio plurale e delle differenze. Balducci ne ha elaborato una geografia del policentrismo italico che si snoda da Torino a Palermo e Paolo Perulli una mappa della corridorietà che rimanda ai corridoi di connessione dell’Italia delle cento città che fanno geocomunità. Intendo con geocomunità la necessità di tenere assieme il come la geografia investe, dissolve e plasma il fare comunità dell’abitare, del vivere nel rapporto tra spazio e società. Per tornare alla nostra transizione da urbanizzazione regionale, mi pare utile rileggere il Calvino delle “Città invisibili”che mi evoca come a noi appare oggi la transizione in atto del territorio, dello spazio urbano che rimanda oltre che alla metamorfosi del fare economia, ai mutamenti del fare società. Condivido con Balducci che non funzionano più le categorie di analisi di città e metropoli ma anche altre immagini territoriali da noi usate seguendo i processi economici, triangolo industriale, Terza Italia, Mezzogiorno, Città diffusa, Città infinita… Nuove rappresentazioni sono necessarie. Il ragionare di postmetropoli significa ripartire dai luoghi, dallo spazio di posizione, dalla materialità socioeconomica e piuttosto che porre problematiche di confini occorre ragionare di rappresentazione e rappresentanza nel cambiamento del vivere, del lavorare e dell’abitare.