Molti dossier, molto onore. Nei primi giorni da ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha sollevato svariati temi e ha anticipato con generosità le linee della sua azione amministrativa. Il rischio in questi casi è che la politica degli annunci finisca per cannibalizzare la ricerca di soluzioni, anche se per la verità nel primo vero test il ministro ha dato prova di pragmatismo. Annullando le prime bozze del decreto sui rider che erano circolate. Ieri Di Maio è tornato alla carica e questa volta ha messo nel mirino la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi, promettendo di rivedere in chiave vincolista la legge SalvaItalia varata dal governo Monti.
Peccato però che questa sua sortita non sembra essere supportata da un adeguato approfondimento del tema. E quindi si presti a una lettura decisamente ideologica, quasi un recupero delle vecchie parole d’ordine della sinistra novecentesca. Aprire i negozi nei giorni festivi è una facoltà e le imprese che scelgono questa strada pensano di trarne vantaggio, ovvero di ospitare un congruo numero di clienti e poter così remunerare il lavoro straordinario dei propri dipendenti. Se questi presupposti vengono meno cade anche la necessità delle aperture.
L’attenzione del legislatore di conseguenza deve andare sicuramente alla tutela dei lavoratori ma deve anche essere rivolta alle dinamiche reali del mercato e non ostacolare l’attività commerciale laddove è coronata da successo (specie nelle grandi città). L’esempio virtuoso da studiare, e in caso replicare, è quello dell’accordo raggiunto nel maggio scorso tra la Esselunga e i sindacati confederali che comporta un investimento da parte dell’azienda di circa un milione di euro. Consiglio finale: evitare un inutile scontro sociale e costruire invece soluzione equilibrate che estendano quanto di meglio ha prodotto la contrattazione.