L’incertezza, tra imprese e operatori, che ormai dura da mesi e un’economica, da ieri, ufficialmente, in recessione, dopo gli ultimi trimestri fiacchi, hanno iniziato a manifestare i primi effetti sul mercato del lavoro. A dicembre, nel confronto sul mese, l’occupazione è cresciuta appena di 23mila unità; si tratta esclusivamente di contratti precari e lavori autonomi, specie per le donne; i rapporti stabili, quelli a tempo indeterminato, sono calati di 35mila unità. Sull’anno, la fotografia è piuttosto simile: i posti in più, conteggiati dall’Istat, sono stati 202mila (il tasso di occupazione è arrivato al 58,8% al top da aprile 2008), ma se si scende nel dettaglio si scopre che gli impieghi aggiuntivi sono la sommatoria di 168mila contratti “a tempo” (i fissi sono crollati di 88mila unità) e di 34mila indipendenti, cioè nuove partite Iva, che soprattutto a novembre e dicembre 2018 hanno ripreso ad aumentare (probabilmente complice il giro di vite sulla flessibilità buona, operata con il decreto dignità, pienamente in vigore da novembre; e il regime fiscale di vantaggio, la flat tax al 15%, operativa per una buona fetta di indipendenti).
Nel quarto, e ultimo, trimestre del 2018 gli occupati sono saliti di 12mila persone; qui si nota una ripresina dei contratti stabili (+16mila unità), frutto, probabilmente, di qualche trasformazioni in più di rapporti precari; ma il numero di senza lavoro è balzato in avanti, segnando un +2,4%. Il tasso di disoccupazione a dicembre si è attestato al 10,3% (in calo di 0,2 punti – ma distante dal 7,9% dell’Area Euro); tra i giovani, under25, la quota di chi non ha un impiego è risalita al 31,9%; ci confermiamo terz’ultimi a livello internazionale, peggio di noi solo Spagna (32,7%) e Grecia (38,5%, il dato è fermo a ottobre 2018), e restiamo lontanissimi dai primi della classe, la Germania stabile al 6%, anche grazie al sistema di formazione duale, che invece in Italia il governo Conte ha fortemente ridotto. Il numero di inattivi, tra cui molti scoraggiati, è risultato in flessione, sia sul mese (-16mila unità) sia sull’anno (-197mila), ma non si è andati a ingrossare le fila del lavoro permanente.
Il governo vede il bicchiere mezzo pieno: «La disoccupazione è in calo, l’occupazione aumenta, e sul trimestre ci sono più occupati permanenti – sottolinea Pasquale Tridico, economista del lavoro all’università Roma Tre e consigliere economico del vice premier, Di Maio -. Si conferma la validità del decreto dignità. A dicembre, su novembre, la riduzione degli occupati stabili è legata al lavoro stagionale. Considerando anche il rallentamento del Pil sono dati positivi».
Serve maggiore «cautela e prudenza – ribatte Maurizio Stirpe, vice presidente di Confindustria per il lavoro e le relazioni industriali -. Nell’ultimo trimestre 2018 il numero di disoccupati è aumentato del 2,4%; l’occupazione stabile è in frenata, mentre sale quella precaria; e quindi il decreto dignità non ha prodotto effetti. Sull’anno, poi, si conferma la riduzione dei contratti a tempo indeterminato, e l’incremento di quelli a termine. Il clima di incertezza non aiuta le imprese, serve una politica che guardi all’industria e c’è bisogno di più crescita e investimenti». Anche Marco Leonardi, economista alla Statale di Milano, è cauto: «I dati Istat e quelli Inps dei giorni scorsi evidenziano, da agosto, un calo dei contratti subordinati. I mancati rinnovi dei rapporti a termine, resi oggi più difficoltosi, stanno sfociando in maggiori domande di disoccupazione. C’è il rischio, concreto, nei prossimi mesi, di una nuova avanzata del lavoro non standard».
A soffrire, di più, è la fascia 25-49 anni, i cui occupati, nel tendenziale, si sono ridotti di 135mila unità. Ci sono ancora molte crisi aziendali irrisolte (il governo ha rifinanziato gli ammortizzatori, compresi quelli in deroga, per tutto quest’anno e il 2020); e l’avvio, soft, di quota 100 e reddito di cittadinanza difficilmente creerà, nell’immediato, nuovi posti “fissi”. È fortissimo, inoltre, il mismatch, con una mole di tecnici introvabili dalle aziende. Il sindacato, che scenderà in piazza il 9 febbraio, è preoccupato: «L’occupazione è ferma e il Pil è in calo, urge discontinuità nella politica economica del governo», sottolinea Luigi Sbarra della Cisl. Sulla stessa lunghezza d’onda, Cgil e Uil: «Il decreto dignità doveva risolvere il precariato – affermano in coro – invece manifesta palesemente la sua inefficacia».