Si è trattato, per ora, solo di un caldo aperitivo agostano. Ma l’andamento dei mercati in questi giorni è utile a capire cosa potrebbe accadere in autunno, durante la scrittura della legge di bilancio.
Tra mercoledì e venerdì, il rendimento dei titoli di Stato a dieci anni si è spinto dal 2,73% al 3,09%, ripiegando poi a 2,92%. E se è vero che nelle scorse settimane i tassi sono cresciuti praticamente ovunque, in tre giorni lo spread coi bund decennali tedeschi è salito da 225 a oltre 250 punti base. Dai bond decennali greci ci separa ormai poco più di un punto percentuale.
D’altra parte, come potrebbe essere diversamente? A due mesi dal suo insediamento, persiste grande incertezza sugli obbiettivi di finanza pubblica del governo. Da una parte c’è il prudente ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che ipotizza un percorso di riduzione del deficit appena più lento di quello immaginato dal predecessore Pier Carlo Padoan. Dall’altra, c’è il pesantissimo contratto di governo, con dentro flat tax e reddito di cittadinanza, che i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini sembrano intenzionati a rispettare. Ieri, al termine di un incontro a Palazzo Chigi, Tria ha detto che queste aspirazioni non sono incompatibili fra loro. Tuttavia, restano forti dubbi su quale sarà alla fine il punto di caduta.
Il deficit è solo uno dei problemi della politica economica di Lega e 5 Stelle. A mancare è un progetto di sviluppo per l’Italia, che incoraggi investimenti e creazione di posti di lavoro. Nelle ultime settimane abbiamo assistito alla confusa stesura del decreto Di Maio, approvato giovedì sera alla Camera. In corso d’opera, il governo ha scelto di mantenere l’impianto di mercato del lavoro costruito dal Partito democratico, rifiutandosi di ripristinare l’Articolo 18 e confermando gli sgravi contributivi per i più giovani. Tuttavia, altri elementi del provvedimento, come la reintroduzione delle causali sui contratti a tempo determinato, confermano che questo governo è poco interessato alle difficoltà di chi fa impresa. Dalla Tap, alla Tav, all’Ilva, gli imprenditori chiedono certezze. Per l’esecutivo, invece, è meglio non decidere.
Le conseguenze dello spread cominciano a vedersi, e non solo sulle aste di titoli di Stato. Le trimestrali di questa settimana hanno mostrato come le banche, da Intesa Sanpaolo a Monte dei Paschi, stiano vedendo il loro capitale eroso dalle perdite sui portafogli di Btp. Tra le assicurazioni, Poste Vita ha subito per motivi analoghi un drastico calo del suo coefficiente di solvibilità. L’abbraccio mortale fra Stato e settore finanziario è ancora forte. Nuovi aumenti dei rendimenti si propagherebbero immediatamente sulle banche e sulla loro capacità di fare credito.
È facile, purtroppo, prevedere la reazione del governo davanti a un’eventuale nuova crisi. La colpa sarà attribuita alla Banca centrale europea, che si avvia a concludere il programma di acquisti netti di titoli di Stato. Se così fosse, però, non si spiegherebbe perché lo spread tra Italia e Spagna sia salito dai 40 punti base di inizio maggio ai 150 punti base di oggi. La fine del quantitative easing colpisce tutti i Paesi periferici dell’eurozona, ma le conseguenze non sono affatto le stesse.
A inizio giugno, il ministro Tria ha rassicurato temporaneamente i mercati, delineando un programma economico prudente, centrato sulla permanenza dell’Italia nell’euro. Ora tocca a Di Maio e Salvini sostenere pubblicamente il suo sforzo. La scelta è tra il programma di governo e la stabilità finanziaria degli italiani — ricordandosi che senza investitori le promesse sono destinate comunque a diventare carta straccia.