«Mio padre è uno dei miei più grandi fan. E i miei genitori, sia con me che con mia sorella e i miei fratelli, non hanno mai posto limiti alle nostre aspirazioni: quando ho annunciato di volermi cimentare con l’astrofisica ho avuto subito il loro appoggio». Sandra Savaglio, pluripremiata astrofisica calabrese, esempio di “cervello ritornato” in Italia a fronte di tanti “cervelli in fuga” (nel 2004 Time le dedicò pure la copertina, come esempio di cervello europeo emigrato negli Stati Uniti), racconta così i suoi esordi da scienziata. E tocca subito un nervo scoperto, uno dei tanti di cui ha discusso nell’incontro “Donne e Scienza”, in programma venerdì 22 settembre alle 18 al Teatro Miela.
Ideato da Eliana Liotta, giornalista e autrice del bestseller “Il bene delle donne” (Rizzoli), l’incontro, che ha visto la partecipazione di Savaglio stessa e di Maria Cristina Pedicchio, presidente dell’Ogs, è stato l’occasione per fare il punto sul gap che ancora esiste nel mondo scientifico e accademico tra uomini e donne, e sui tanti stereotipi di genere che gli fanno da corollario.
«Continuano ad esistere pregiudizi incredibili sulla propensione biologica delle donne per la scienza – dice Liotta -. È convinzione diffusa che siano più brave nelle materie umanistiche, invece che in matematica e nelle cosiddette “scienze dure”. Ci piace parlarne dalla città di Margherita Hack, che fu la prima donna a diventare, nel 1964, professore ordinario di astronomia».
Non si tratta di una questione di cervello, tanto che vi sono molti studi che dimostrano come bambini e bambine siano ugualmente predisposti alla matematica e al calcolo. Ma di una faccenda culturale: sembra che ancora oggi siano gli stessi genitori a tenere bassa l’autostima delle figlie per quanto riguarda le materie scientifiche, così che le ragazze si convincono di non essere portate per studi di questo tipo. E la convinzione che le donne non siano biologicamente portate per le scienze continua ad esistere, basti pensare alle stravaganti tesi dell’ex rettore di Harvard Lawrence Summers. Ma sarebbe un errore pensare che in Italia la situazione sia peggiore rispetto ad altre nazioni: «In Italia va meglio che in Gran Bretagna o in Germania – dice Savaglio, che ha lavorato per lungo tempo a Monaco di Baviera -: proprio in Germania il primo professore ordinario d’astrofisica di sesso femminile è del 2007, anche se oggi si sta lavorando molto per correggere il gap».
E se l’autostima è fondamentale per riuscire, così come l’impegno, un altro impulso fondamentale viene dai riferimenti: «Oggi che abbiamo un’astronauta donna come Samantha Cristoforetti per le bambine sarà più facile immaginarsi astronaute», dice Savaglio. Che confessa: «Anche se va meglio rispetto ai tempi di Margherita Hack, è successo anche a me di pensare che se fossi nata uomo sarebbe stato tutto molto più facile. Magari quando un collega mi si rivolgeva in maniera poco rispettosa, o per quell’ambiguità di fondo che si crea in tutti i settori in cui il potere è in mano ai maschi, per cui sei tu stessa a chiederti, quando ti arriva un aiuto, se sia perché te lo meriti o per un altro scopo».
Il fatto che il potere, anche in ambito scientifico, sia ancora in mano ai maschi è dimostrabile con pochi esempi: in Italia le donne rettrici di Università sono ancora mosche bianche, così come le donne primario. E anche il modo di fare ricerca, nelle università, nei laboratori, negli ospedali, è spesso ancora improntato sul modello maschile: com’è possibile, si chiede Liotta, che all’epoca della cosiddetta “medicina personalizzata” la maggior parte dei farmaci sia ancora testata su maschi giovani, bianchi e sui 70 chili? Le donne arruolate nelle sperimentazioni sono pochissime e anche per questa ragione mostrano più reazioni avverse ai farmaci.
*Giulia Basso, Il Piccolo, 21 settembre 2017