Francia e Germania cercano una convergenza tra vicini — i due vicini più importanti d’Europa — per la ripartenza. La cercano innanzitutto su una app che stanno sviluppando insieme per un eventuale programma di tracciamento. Il presidente francese Emmanuel Macron, però, è anche preoccupato che l’anarchia europea nella fase 2 possa consentire alla Germania di ripartire a un ritmo molto più accelerato degli altri, grazie al bazooka da 1.200 miliardi di euro pompato da Berlino nella propria economia: tre volte quello di Parigi, che si ferma a 400 miliardi. Peraltro, è uno dei motivi per cui Macron continua anche a offrire una sponda all’Italia nella richiesta di un piano europeo decisamente più potente di quello deciso dall’eurogruppo.
Il leader francese si è consultato con la cancelliera Angela Merkel lo scorso fine settimana, alla vigilia del suo discorso che ha fissato all’11 maggio la fine del lockdown, con qualche azzardo come l’idea di riportare a scuola 12 milioni di alunni. Macron spinge per sincronizzare al massimo la ripartenza. Les Echos ha calcolato che se la Germania ripartisse dieci giorni prima della Francia l’aggravio per Parigi sarebbe di 65 miliardi. La recessione francese è già stimata con un calo del Pil dell’8% quest’anno e non potrà che peggiorare. A inizio anno Macron poteva vantarsi di avere una previsione di crescita persino superiore a quella della Germania. Ma nell’affrontare la crisi sanitaria il paragone è stato drammatico, tra Berlino “formica” meglio attrezzata su test e terapie intensive rispetto alla “cicala” Parigi, che pure ha lo stesso livello di spesa sanitaria. Per non contare che dopo la crisi la stima del debito francese è del 115% del Pil, mentre quello della Germania dovrebbe fermarsi intorno al 70%. È forte, insomma, il timore a Parigi che Berlino possa riemergere dalla crisi ancora più potente. Anche per questo il governo francese ha attuato un lockdown rigido, ma ha concesso molte deroghe alle imprese: un terzo della produzione non si è fermato e alcuni grandi gruppi, come Michelin o Airbus, hanno già riaperto le fabbriche. E per l’11 maggio Macron ha spiegato che la priorità è «permettere al maggior numero possibile di persone di tornare al lavoro e di riavviare industria, commercio e servizi».
Dall’altro lato del confine, però, anche Merkel ha davanti a sé una strada difficile. Oggi terrà un vertice con i governatori dei Land tedeschi per decidere criteri unitari sull’uscita dalla crisi, ma gli stessi poteri locali sembrano talmente spaccati che qualcuno dubita che la soluzione comune possa arrivare. C’è chi ha fretta di inaugurare la fase 2 riaprendo subito scuole, negozi e fabbriche come il Nordreno-Westfalia e Berlino, e c’è chi frena come la Baviera o il Baden-Wuerttenberg. Sarà compito della cancelliera richiamare i governatori alla responsabilità per evitare soluzioni a macchia di leopardo.
Intanto la cancelliera ha alzato lo sguardo anche al di là dei confini e sta cercando di evitare che al livello europeo una cacofonia di strategie possa mantenere a lungo le frontiere chiuse. L’Austria ha dato il cattivo esempio, decidendo in autonomia un allentamento delle restrizioni senza ripristinare la libera circolazione alle frontiere per paura di “importare” di nuovo il virus. Uno scenario che minaccia il continente intero. Al penultimo Consiglio europeo, sembra che Merkel si sia soffermata molto sulla necessità di mantenere i confini fluidi almeno per le merci. Anche Macron è su una linea simile: ripete che è importante garantire la circolazione dei lavoratori all’interno dei Paesi europei vicini, con attività economiche integrate. La Francia ha scelto finora di non chiudere il confine con l’Italia proprio per questo motivo.
Ma la libera circolazione ha anche i suoi rischi. Quello che sta accadendo al confine tra la Saar e l’Alsazia, poi, è diventato un monito. L’assenza di coordinamento all’inizio dell’emergenza ha provocato un piccolo caso diplomatico nella regione tedesca della Saar dove i lavoratori transfrontalieri francesi sono stati insultati e aggrediti perché considerati possibili “untori”. Il ministro degli Esteri, Heiko Maas, originario di questo land, è stato costretto a presentare le scuse ai francesi: «Il coronavirus non conosce nazionalità. Siamo sulla stessa barca», ha twittato.