Certo, la politica può influenzare, nel bene e nel male, l’andamento della Borsa. Però, a giudicare da quel che è successo a piazza Affari dal 4 marzo, giorno in cui gli italiani sono andati alle urne per le Politiche, e oggi, ci sono variabili che contano di più. Il risultato che ha premiato forze politiche anti-sistema e, soprattutto, che non garantisce lo sbocco a un governo chiaro, conta meno dei numeri licenziati nel 2017 dalle società più importanti che compongono l’indice Ftse-Mib. Altrimenti non si spiegherebbe come mai in queste due settimane la Borsa è salita del 4 per cento.
UTILI. Come ha ricordato ieri Il Sole 24 Ore, era dal 2007, l’anno che ha preceduto il crac Lehman e la susseguente recessione globale, che le blue chip, vale a dire le principali società quotate del Paese, non annunciavano un livello così alto di utili registrati a bilancio: 42 miliardi, di cui oltre 17 distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi. Logico, quindi, che di fronte a questa radiografia che attesta la sana e robusta costituzione fisica delle società, il mercato abbia dato loro fiducia, facendone aumentare le quotazioni a prescindere dalle non chiare prospettive politiche del Paese.
FOTOGRAFIA. Decidere di investire nelle azioni di una società, piuttosto che in un altro strumento finanziario solo sulla base dei risultati dell’ultimo anno non è mai molto saggio. O, almeno, non è sufficiente per avere la garanzia di percepire gli stessi risultati anche in futuro. Per dire, il boom di Fca, la Fiat Chrysler Automobiles di Marchionne, testimonia di quanto intelligente e lungimirante sia stata la strategia del manager scelto dalla famiglia Agnelli quando la società era sull’orlo del fallimento. Il fatto di aver portato a casa per l’esercizio 2017 un utile di 3 miliardi e mezzo spiega perché nell’ultimo anno la performance del titolo a piazza Affari sia stata pazzesca: +92 per cento. Ma si tratta pur sempre di una fotografia fatta in un momento che avrà come conseguenza pratica lo stacco di un’ottima cedola per l’anno venturo ma che non permette di essere certi su come andrà nel 2018. Anche se, per dirla alla Catalano, è meglio partire da una montagna di utili che da un profondo rosso in bilancio.
BANCHE. Un altro segnale incoraggiante per il mercato azionario e, verrebbe da dire, per l’economia in generale, arriva dalla presenza delle due banche più importanti d’Italia nei primi due posti della Top 10 degli utili societari. Intesa Sanpaolo e Unicredit chiudono i bilanci 2017 con un utile rispettivamente di 7,3 e 5,4 miliardi. I 2,1 miliardi di Generali (5° posto) e i 750 milioni di Mediobanca (10° posto) completano l’analisi positiva del settore finanziario, segno che il peggio è passato. Se partono le banche, diceva un vecchio agente di Borsa quando ancora le azioni si trattavano alle grida, vuol dire che a ruota è pronto per partire tutto il mercato. Difficile dire se a questo boom degli utili seguirà un’altra stagione positiva per il mercato azionario. Però le cedole dei dividendi annunciate dalle società, viste in crescita sensibile, permettono di allontanare, per il momento, gli spettri dell’instabilità politica. Al momento delle scelte d’investimento, quindi, una parte più o meno elevata, a seconda dalle propensioni al rischio, va destinata all’azionario.