Dopo una notte insonne passata a scontrarsi con la controparte, i sindacati hanno raggiunto l’accordo sul nuovo protocollo in vista delle riaperture del 4 maggio: saranno sospese le aziende che non rispetteranno le regole. Maurizio Landini è soddisfatto: «A marzo avevamo detto che si lavorava solo se c’erano condizioni di sicurezza. L’accordo dice che nelle aziende che non assicurano livelli adeguati di sicurezza scatta la sospensione dell’attività».
Lei e la sua Cgil pensate che basterà per evitare nuove ondate di contagi?«Tutte le parti sociali assumono il principio che la sicurezza e la salute delle persone sono l’elemento centrale per rilanciare la produzione e l’economia del Paese. Di tutti, compreso chi lavora negli appalti. E accanto ai comitati in ogni azienda, ci sono per le imprese artigiane e commerciali comitati territoriali di vigilanza e verifica. Perché è il lavoro in sicurezza che sconfiggerà il virus e rilancerà la nostra economia. Poi oggi il punto decisivo è come e quando aprire le scuole, a ogni livello. Bisogna pensarci da subito, studiando tutti gli accorgimenti anche per le strutture scolastiche, e stabilizzando i precari. L’insegnamento a distanza va bene, ma serve anche quello in presenza. Che significa anche dare una risposta alle famiglie».
Nella fase iniziale dell’emergenza c’è stata poca attenzione alla salute dei lavoratori?«In tanti non abbiamo capito da subito la gravità della situazione. Ora tutti si sono resi conto cosa vuol dire avere una sanità pubblica e cosa vuol dire averla indebolita, come in Lombardia. Questa emergenza sanitaria è avvenuta nel pieno di un’emergenza climatica e di una rivoluzione tecnologica. Questi tre elementi ci impongono di riprogettare il modello di sviluppo, restituendo un significato e un senso al lavoro e alla qualità della vita delle persone».
Eppure tanti dicono che per uscire dalla crisi bisogna deregolare, condonare, togliere vincoli ambientali e anticorruzione. Che ne pensa?«Non sono d’accordo. Chiunque sia intellettualmente onesto non può non vedere che l’emergenza virus ha fatto emergere tutte le fragilità e i limiti del modello di sviluppo che ha dominato in questi anni in Italia e nel mondo, che aveva al centro il mercato senza regole, il profitto e il consumo fine a sé stesso. Un modello che ha determinato una crisi climatica pericolosa, un livello di diseguaglianza senza precedenti e attraverso i tagli al sistema sanitario ha messo in pericolo tutti. Pensare che la soluzione per uscire dall’emergenza sia ripetere gli errori che ci hanno portato in questa situazione è inaccettabile. La ricetta giusta non ce l’ha nessuno. Bisogna progettare, sapendo che siamo dentro un grande cambiamento, e che si deve guardare alla giustizia sociale, al lavoro, alla realizzazione delle persone attraverso il lavoro».
Confindustria ha eletto il nuovo presidente. Bonomi sarà un interlocutore costruttivo per il sindacato?«Intanto sinceramente gli auguro buon lavoro. Assumere una responsabilità di quel genere in una fase come questa è un impegno non piccolo. Non credo che nel sindacato, come affermò Bonomi in una battuta, ci sia una cultura anti-industriale. Con le associazioni datoriali abbiamo firmato due protocolli sulla sicurezza, chiesto e ottenuto dal governo misure sugli ammortizzatori sociali, sulla liquidità. Poi però anche le imprese devono capire che è al tramonto l’idea che l’impresa da sola può risolvere tutto; si deve investire su un nuovo sistema di relazioni industriali e sul lavoro, abbandonando precarietà e subappalto».
Che idea si è fatta del negoziato del governo con l’Europa? Le risorse del Mes vanno chieste, o sono una trappola?«Con tutte le cautele del caso, mi pare che in Europa si sia aperta una fase nuova. Tutti ormai sono consapevoli che serve un piano di investimenti straordinari, nuove regole fiscali, che bisogna uscire dalla logica dell’austerità. Mi pare che le prime mosse – il “Sure” per gli ammortizzatori sociali, gli investimenti della Bei, il fatto che per la prima volta si parli di uno strumento comune per gli investimenti – vadano nella direzione giusta, ma la battaglia è ancora aperta. Sul Mes, molto pragmaticamente, dico che se sul piatto ci sono risorse da usare per la sanità senza alcuna condizionale presente o futura, sarebbe folle non usarle. La nostra sanità ne ha bisogno per strutture, assunzioni, tecnologie, per rafforzarsi sul territorio».
I provvedimenti del governo hanno funzionato, o come molti denunciano in concreto sono stati lenti e dunque inefficaci?«Intanto l’emergenza ha dimostrato quanto sia grave l’assenza di un sistema di ammortizzatori sociali uguali per tutti. Sono troppi, sono differenti, e bisogna unificarli, così come bisogna unificare il lavoro cancellando la precarietà. Nel complesso nei decreti i problemi e i ritardi ci sono, ma la strada è quella giusta. Tutte le imprese vanno salvate dalla chiusura, ma oltre l’orizzonte dell’emergenza bisogna tornare a fare sistema, a ricostruire una cultura della solidarietà e dell’interesse generale. Solo insieme possiamo farcela».
Per fare cosa?«Questo è il momento di varare grandi riforme, a partire dal Fisco. Tutti insieme, governo, imprese e sindacati, dobbiamo chiudere la stagione che ha reso l’Italia il Paese con il massimo di evasione fiscale, il debito più imponente, e il livello di risparmi privati più alto d’Europa».