Negli stessi minuti in cui il presidente Xi Jinping atterrava a Fiumicino per celebrare l’adesione italiana alla Nuova Via della Seta, a Bruxelles i capi di Stato e di governo dell’Unione chiudevano al Dragone dirigendo l’Europa nella direzione opposta a quella imboccata dal governo gialloverde. Con Pechino definita «concorrente economico» e «rivale sistemico», si pensa ad uno scudo protettivo — una sorta di golden power Ue — che nel nome della reciprocità escluda i cinesi, e le loro aziende finanziate dallo Stato, dall’accesso agli appalti pubblici europei fino a quando la Repubblica popolare non aprirà i suoi mercati alle nostre aziende. Il tutto, auspica l’Europa, restando uniti, in modo da non disperdere le forze nel confronto con il colosso asiatico. Come dimostra la scelta di Macron, in vista del vertice Ue-Cina del 9 aprile, di ricevere Xi Jinping all’Eliseo insieme a Merkel e Juncker. E senza il premier Conte.
Unione e reciprocità sono il cuore delle conclusioni che il Consiglio europeo approverà oggi recependo le indicazioni della nuova strategia Ue verso la Cina pubblicate la scorsa settimana dalla Commissione europea. Un testo nel quale Pechino non viene mai nominata direttamente, ma viene indicata con un più neutro “Paese terzo”, consentendo alla delegazione italiana di accettare il documento. E invece la preoccupazione in Europa è alta, tanto che Merkel e Macron hanno chiesto di riformare le regole dell’Antitrust Ue per favorire la nascita di campioni continentali in grado di competere con i big cinesi.
Nei giorni scorsi, spiegano a Bruxelles, una forte pressione europea ha costretto il governo gialloverde a limare il memorandum con la Cina. E infatti il “caso Italia” ha fatto comunque capolino a margine del summit. Diverse delegazioni hanno chiesto spiegazioni agli italiani, costretti a giustificare la scelta di aprire sistematicamente — primo Paese del G7 — a Xi Jinping e poi presentarsi a Bruxelles ad approvare una strategia Ue ben più prudente. Opponendo l’argomentazione di avere allineato l’accordo alle regole Ue.
Eppure la preoccupazione dei partner verso l’ingresso di Pechino nelle infrastrutture strategiche, con il rischio di carpirne i segreti industriali, è tale che il summit ha chiesto a Bruxelles la creazione uno scudo dalle aziende cinesi di proprietà pubblica o finanziate dai generosi aiuti di Stato di Pechino. E ancora, di salvaguardare gli interessi Ue contro gli investimenti cinesi che minacciano la sicurezza facendo «pieno uso delle difese commerciali » a nostra disposizione, in particolare con uno «screening» al termine del quale eventualmente bloccare l’accesso agli appalti pubblici in Europa fino a quando la Cina non aprirà alle nostre aziende. L’Italia gialloverde appare proprio fuori dal coro. O peggio isolata.