Gli effetti dell’epidemia del nuovo coronavirus sull’economia italiana cominciano, ovviamente, dalle molte aziende che stanno soffrendo per il calo della domanda per i loro beni e servizi. Ma, a catena, la crisi avrà un impatto anche sugli istituti di credito, che vedranno peggiorare la situazione dei loro bilanci a causa dei ritardi nei pagamenti e dei default.
Le banche italiane sono sicuramente più solide di qualche anno fa. Tuttavia, è importante che il governo e la Banca centrale europea siano particolarmente attenti alla stabilità del sistema, soprattutto nel malaugurato caso in cui l’emergenza sanitaria si prolungasse nel tempo.
Negli ultimi cinque anni, le banche italiane hanno intrapreso un importante percorso di pulizia dei loro bilanci e rafforzamento del loro capitale. La percentuale di sofferenze (al netto di svalutazioni e accantonamenti) sul totale degli impieghi è sceso all’1,61% a dicembre 2019, dal 4,89% a novembre 2015. A più riprese, molti banchieri, politici e regolatori italiani hanno attaccato la Bce per aver obbligato le banche a rafforzarsi così rapidamente. Oggi questa severità si è dimostrata lungimirante, perché permette a molti istituti di affrontare questo nuovo shock da una posizione più solida.
L’impatto dell’epidemia di covid 19 non può essere ovviamente stimato con alcuna precisione, poiché dipenderà da quanto durerà il contagio e da che misure saranno messe in campo per contenerlo. Tuttavia, già da queste settimane si vedono gli effetti per decine di migliaia di aziende e per i loro lavoratori, alle prese con una crisi di liquidità che rende molto difficile coprire anche solo i loro costi fissi. È inevitabile che queste società — e i lavoratori che dovessero licenziare — avranno difficoltà nel ripagare i loro finanziamenti, e ne chiederanno altri per cercare di superare l’emergenza.
Il governo dovrà quindi fare il possibile per sostenere la domanda interna, compatibilmente con la necessità di mantenere sotto controllo i tassi d’interesse sul nostro debito. Gli oltre sette miliardi stanziati fino ad ora sono destinati ad aumentare, ma è importante che si proceda per gradi, per evitare che i soldi finiscano in spesa per interessi e non in ventilatori polmonari o assegni di cassa integrazione. L’esecutivo ha inoltre predisposto misure che permettono ai meno abbienti di ritardare i pagamenti dei mutui. Sarebbe utile ragionare su forme di garanzia pubblica più ampie, che consentano alle banche di continuare a erogare prestiti senza incorrere in rischi eccessivi.
Il consiglio direttivo della Bce si riunirà questa settimana, ed è importante che agisca subito vista la gravità dell’emergenza. È essenziale garantire nuove linee di liquidità agli istituti di credito, che li incentivino a mantenere o incrementare i prestiti, soprattutto alle piccole e medie imprese. Un rafforzamento del programma di acquisto di titoli di Stato potrebbe essere utile — magari in una seconda fase — per dare maggiori spazi di manovra ai Paesi con le finanze pubbliche più deboli, come l’Italia.
Una questione più delicata è se debbano essere alleggerite le norme prudenziali che governano la gestione del credito. In Italia si sta chiedendo di tornare a criteri più laschi, per evitare che le banche chiudano i loro rubinetti. Il problema di alcune di queste richieste è che rischiano di essere artifici contabili, che nascondono il problema senza risolverlo. La Bce dovrebbe ragionare su eventuali margini di flessibilità, ma l’esperienza di questi anni ci insegna che se anche la vigilanza decidesse di chiudere un occhio, gli investitori non farebbero lo stesso.
Il governo dovrà inevitabilmente valutare l’impatto della crisi sulle banche più deboli — da Carige alla Banca Popolare di Bari. Ma, grazie anche alla pressione della Bce, il resto del sistema arriva a questa crisi più forte di quello che sarebbe potuto accadere in assenza di interventi così robusti. È importante ora mantenere alta la guardia, per non sprecare questo piccolo ma prezioso vantaggio.