Leggere di un nutritissimo numero di piccole e medie imprese italiane che negli ultimi tre anni hanno raggiunto un ebitda medio superiore al 17% non può che spingere all’ottimismo. Testimonia, se non altro, che la qualità della classe dirigente imprenditoriale dei territori è elevata e lo è rimasta in un contesto di mercato molto più difficile del passato, in un ecosistema in cui la tecnologia ha «invaso» il campo e in un Paese in cui spesso sentiamo parlare di scarsa motivazione delle élite, di una loro inarrestabile tendenza alle «dimissioni».
La prima riflessione che viene naturale riguarda le differenze tra la Grande Crisi 2008-2015 e quella che stiamo ancora vivendo causata dalla pandemia. I prezzi che sono stati pagati allora risultano decisamente maggiori perché negli anni Dieci lo choc colpì una manifattura che ancora era indecisa sulla strada da percorrere. Non avevamo capito per tempo come nella nuova competizione internazionale le lavorazioni a basso valore aggiunto non avessero più scampo, che avevano retto a stento alla fine della stagione delle ripetute svalutazioni della moneta e che quindi erano inesorabilmente arrivate al traguardo.
Estero e margini
Quest’anno a dicembre ricorrerà il ventennale dell’ingresso della Cina nel Wtoeci sarà ampia materia su cui riflettere ma si può dire fin d’ora che gli effetti della liberalizzazione pro-Pechino, lo strappo di Seattle, si sono fatti sentire proprio negli anni della Grande Crisi che per questa via ha finito per cumulare due choc. Così non pare che stia accadendo perla crisi pandemica e lo testimonia la straordinaria tenuta delle catene del valore occidentali e insieme la veloce ripresa deiflussi commerciali globali. È dentro questo scenario che dobbiamo collocare sia la tenuta della manifattura italiana (che resta seconda in Europa) sia le performance delle aziende Champions. Come dimostrano due dati sopra gli altri: l’ebitda medio di cui sopra e la quota delle esportazioni. Archiviato il recente passato con qualche sospiro di sollievo dobbiamo però guardare avanti e cercare di individuare le nuove traiettorie delle nostre imprese più redditizie. E la novità sarà data dalla presumibile forza della domanda interna. Se infatti dagli anni Dieci in poi l’export è stata la leva principale di espansione del fatturato, negli anni Venti italiani dovremmo assistere quantomeno a una staffetta. Lo hanno sostenuto nei giorni scorsi, ad esempio, Prometeia e Intesa Sanpaolo nel loro ricco report sui settori industriali. A rendere possibile il cambio del testimone sarà l’ingente mole di investimenti pubblici legati al Pnrr e quindi alle possibilità delle imprese Champions di nuotare in un mare confortevole. I settori individuati come quelli con maggiori prospettive di crescita (elettrotecnica, elettronica, meccanica e automotive) sono anche gli stessi nei quali si addensa oltre il 40% del campione analizzato da ItalyPost e di conseguenza dovremmo poter contare su uno zoccolo duro dello sviluppo decisamente robusto.
Stato dell’arte
Se mettiamo assieme le qualità delle Champion se la tendenza favorevole indotta dagli investimenti pubblici, per completare la triangolazione resta solo un’ulteriore maturazione soggettiva degli imprenditori. In parole povere la capacità di approfittare di un’occasione pressoché unica per rendere ancora più resistenti le aziende.
La prima sfida riguarda la profondità della trasformazione digitale come leva per accrescere il valore delle imprese. L’indice Ucimu segnala come gli investimenti privati siano ripartiti, come le imprese stiano ammodernando il loro parco macchine (invecchiato, per la verità), come dunque ci siano i presupposti per chiudere il cerchio della digitalizzazione. La seconda sfida, strettamente legata alla prima, riguarda il capitale umano che dovrà gestire il new normal digitale. Si può fare molto, molto di più, innanzitutto all’ingresso, portando in azienda i talenti del territorio e successivamente investendo su di essi. Infine la terza sfida può riguardare lo stesso skyline dell’offerta: la dimensione non è la condizione senza la quale non si può crescere sui mercati, ma è anche vero che ci sono tutte le condizioni esterne per cogliere al balzo l’occasione di allargare la taglia. Le modalità possono essere le più varie e non è detto che si debba toccare perforza il nodo della proprietà (come la straordinaria esperienza delle filiere dimostra) ma bisogna essere coscienti che assai difficilmente condizioni così favorevoli si ripresenteranno.