È un vertice europeo ricco di temi quello che si terrà questa settimana a Bruxelles. Tra i dossier sul tavolo anche il futuro della politica industriale europea. In un rapporto, il Centro europeo di strategia politica, un organismo indipendente della Commissione europea, ha voluto disegnare una nuova strategia comunitaria per meglio affrontare la concorrenza internazionale, rilanciando l’innovazione, rafforzando le difese commerciali, magari anche creando un nuovo fondo sovrano europeo.
Il documento di 20 pagine reso pubblico ieri a Bruxelles è generoso di dati e statistiche. Riflette bene la nuova preoccupazione dell’establishment comunitario dinanzi alla minaccia economica e politica cinese, in linea con un recente articolo pubblicato dal Carnegie Moscow Center, nel quale la segretaria generale del Servizio europeo dell’Azione esterna, la diplomatica tedesca Helga Schmid, difende un ruolo «più assertivo» dell’Europa sulla scena internazionale.
Il Centro europeo di strategia politica è ben consapevole che la Cina sta travolgendo gli equilibri del libero mercato. Le imprese cinesi non sono solo forti di una incredibile economia di scala. Godono spesso di mercati protetti, di sussidi generosi e possono quindi produrre sotto costo, approfittando in molti casi della tecnologia occidentale utilizzata da produttori americani o europei che si sono insediati nel paese asiatico. Già oggi la Cina rappresenta il 56% delle vendite di auto elettriche nel mondo.
Secondo il Centro europeo di strategia politica, l’Unione non approfitta a sufficienza della sua economia di scala. Deve quindi completare il mercato unico per trarne maggiori vantaggi, tanto più che nel settore delle piattaforme elettroniche (da Facebook ad Amazon, da Spotify a Alibaba), le società americane controllano il 70% del mercato, l’Asia il 27%, l’Unione europea appena il 3%. Nell’era digitale, «l’economia di scala senza massa critica è un fenomeno nuovo che ha messo in crisi le società già esistenti».
In questo contesto, l’organismo comunitario sostiene che oltre a usare il volano comunitario per finanziare ricerca e sviluppo nei settori più innovativi e imporre i propri standard normativi, l’Unione europea dovrebbe anche meglio difendersi. Oltre al controllo degli investimenti provenienti da paesi terzi, dovrebbe meglio monitorare i numerosi meandri delle catene produttive, imporre reciprocità negli appalti pubblici, e, perché no?, creare un fondo sovrano europeo.
Questo nuovo strumento potrebbe essere utile per acquistare conoscenze tecnologiche, vantaggi competitivi, aziende strategiche. Un esempio è il fondo sovrano di Singapore che ha un valore di 100 miliardi di dollari e partecipazioni in oltre 40 paesi del mondo. Seguire questo esempio avrebbe ricadute positive per la stessa industria europea che potrebbe assicurarsi così una presenza in catene produttive da cui oggi è drammaticamente esclusa.
Il gruppo di lavoro comunitario cita tra le altre cose la Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta. L’organismo comunitario avverte che spesso Pechino impone i propri standards e offre un servizio chiavi in mano senza che ci sia vera concorrenza tra le aziende che costruiranno le infrastrutture. «L’apertura del mercato deve essere una via a due sensi», si legge nel rapporto. «L’Europa deve essere più strategica nel preparare il suo futuro e meno ingenua nell’affrontare la concorrenza sleale».
L’esempio dei pannelli fotovoltaici parla da sé. Nel 2001, le principali società erano giapponesi. Nella classifica dei primi dieci produttori, i cinesi sono apparsi nel 2009 con quattro società. Oggi dominano la lista con sette aziende. In meno di 15 anni, la Cina ha occupato pressoché manu militari questo delicatissimo mercato. C’è di più. Molte delle operazioni cinesi di fusione e acquisizione in Europa avvengono con la partecipazione del denaro pubblico.