Una partita discreta, giocata su più tavoli negli uffici deserti della Roma d’agosto. Una partita — delicatissima — che sembra arrivata alle mosse finali. È infatti alle ultime battute il tentativo dei 5 stelle di uscire dal tunnel della Tav, uno dei nodi più spinosi del governo gialloverde perché considerato cromosoma fondante del Movimento di Grillo. Due mesi di approcci, di abboccamenti nell’esecutivo, tra i partiti che lo sostengono e con gli addetti ai lavori. Poi la soluzione che nelle ultime ore ha cominciato a circolare suscitando la reazione dei No Tav estremi, ormai una minoranza in val di Susa, come Alberto Perino, che ieri ha tuonato: «I Si Tav lanciano gli appalti, i 5 Stelle continuano a fare sterili proclami. Avrebbero tante cartucce da sparare ma per non disturbare il manovratore queste cose non vengono fatte». Nel governo non ribattono ma protestano a mezza bocca: «Il movimento No Tav si fa strumentalizzare dalla politica, le soluzioni ci sono, ma loro non sono mai contenti», dice un esponente della maggioranza.
Queste soluzioni comprenderebbero un ridimensionamento dell’opera che punti alla «valorizzazione» della linea storica. «Se avessimo potuto bloccare la Tav di punto in bianco lo avremmo scritto nel contratto con la Lega — spiega chi in questi mesi ha lavorato a trovare una via di uscita — se non lo abbiamo fatto è perché non si può ed è già stata dura trattare sulla revisione integrale del progetto. Come del resto non potevamo fermare le delibere del Cipe senza fatti oggettivi».
Il compromesso che si fa strada è quello di abbattere ulteriormente i costi dell’opera di un miliardo. Una parte minima verrebbe risparmiata abolendo la stazione internazionale di Susa, per la quale è già stato vinto un bando internazionale di architettura.
Molti denari sarebbero invece risparmiati sulla tratta nazionale tra Torino e Susa abolendo la contrastata galleria sotto la collina morenica di Avigliana (peraltro gemella di una galleria stradale realizzata senza opposizione negli anni scorsi). Il problema sarebbe che in questo modo arriverebbero al centro logistico di Orbassano 250 treni al giorno e non 320 perché la ferrovia dovrebbe girare ai piedi della collina, come fa oggi, e non passare sotto. Ma non sembrerebbe un grave problema perché si tratta di opere che entrerebbero in funzione solo alla fine del prossimo decennio.
In cambio di queste modifiche i 5 stelle dovrebbero accettare l’inevitabile: che si concludano i lavori, ormai avviati da tempo sul lato francese, per la realizzazione del tunnel di base. Esito inevitabile questo perché per bloccare quei cantieri sarebbe necessaria una legge votata dal Parlamento e il presidente della Repubblica dovrebbe scrivere al collega francese una lettera in cui smentisce l’impegno preso nero su bianco a suo tempo da Napolitano con Hollande. È difficile che Mattarella decida di scrivere a Macron un testo in cui spiega che l’Italia non manterrà l’impegno. Senza considerare lo spreco di risorse: sarebbe come interrompere i lavori di un viadotto a metà di una campata.
Lo scambio sarebbe dunque dettato dalla realpolitik e molti 5 stelle sembrano ormai disposti a percorrere questa strada. Suscitando l’ira dei No Tav ideologici che ancora oggi si comportano come se la galleria non fosse già stata in parte scavata. Chi ha trascorso le campagne elettorali in val di Susa a predicare l’opzione zero («No Tav, senza se e senza ma») verrebbe sconfitto da questo accordo. Per provare a lenire le ferite nel governo si pensa di offrire in pasto all’ala radicale le teste di due tecnici: quella del direttore generale della Telt (la società mista italo-francese che sta scavando), Mario Virano; e quella del Commissario di governo, Paolo Foietta che sta lavorando in questi mesi sulla tratta nazionale tra Torino e Susa, la parte dell’opera in cui si dovrebbero realizzare le modifiche oggetto dell’accordo.
Sostituire Virano non sarà facilissimo perché si dovrebbe trovare su questo un accordo con i francesi (che negli anni scorsi lo hanno insignito della Legion d’onore). In teoria sostituire Paolo Foietta dovrebbe essere più semplice, ma non sarebbe sufficiente: l’organismo che presiede ha nella sua ragione sociale la realizzazione della Torino-Lione. Mettere un No Tav su quella poltrona non avrebbe senso, a meno che non si voglia modificare anche la norma istitutiva dell’organismo.
Insomma, come si dice in questi giorni nei palazzi della politica, «ci sarà da lavorare». Ma il nuovo tracciato sembra deciso.