Il mese di aprile in Italia è il mese dove l’asse autostradale dell’A4, in particolare da Verona a Milano, rischia di diventare un incubo. Nella stessa settimana, con una scarsa distanza di pochi giorni, si svolgono le due fiere più importanti che si tengono nel nostro Paese: il Vinitaly e il Salone del Mobile. Soprattutto quest’ultimo è diventato un tale evento che coinvolge oramai tutta la città con il suo fuori Salone. Una festa collettiva dove la città trova una sua energia aggiuntiva rispetto a quella che già possiede e si presenta al mondo come il “luogo del bello”, per eccellenza. Forse nessuna città al mondo riesce a fare tanto partendo da un fatto di business. Se pensiamo al carnevale di Rio de Janeiro, qui si parte dalla festa per poi arrivare a creare un business. A Milano accade il contrario. Fino a qualche anno fa Imm Cologne era la principale fiera mondiale dedicata all’arredamento, oggi i rapporti di forza si sono invertiti. Girare per il Salone del Mobile di Milano significa capire quale significato ha assunto il design nelle nostre vite quotidiane. Sarà la bulimia di così tanto successo, sarà la frenesia di voler veder tutto, o quasi, il rischio è quello di uscire da una simile kermesse è avere l’impressione che il livello di standardizzazzione dei prodotti e, soprattutto dello stile, sia molto evidente. Inventare qualcosa di nuovo è molto difficile, se poi lavorare sul design non è più un mestiere di pochi artigiani ma di migliaia di produttori, la sensazione che vi sia in atto una industrializzazione dello stile non è solo una sensazione ma una realtà. Quasi si sia di fronte ad una ”ikeazzizzazione”: tutto bello e tutto uguale. Un po’ come è avvenuto nel mondo della moda con l’effetto “zarizzazzione”. Un processo di democratizzazione, nel senso che è disponibile per molti, e allo stesso tempo un processo di omologazione, nel senso che è un oggetto è molto simile ad un altro. La grande differenza tra una cucina Ikea e una cucina Dada rischia essere la qualità intrinseca, il prezzo e il differente valore simbolico della scelta, non il design. Massimo Mantellini, uno dei più attenti osservatori italiani del web, ha scritto un godibilissimo libro, “Bassa risoluzione”, per affrontare il tema sia dell’omologazione che della fruibilità. Due temi che appartengono, di diritto, a questa nostra epoca. Il libro, sin dal titolo, può apparire un manifesto contro la tecnologia, in realtà è un’analisi nelle pieghe delle trasformazioni che stiamo vivendo, anche grazie alla tecnologia.
Tutta colpa della tecnologia?
Partendo dai film visti su internet, magari decriptati attraverso un sito pirata – a bassa risoluzione -, o ascoltando musica su spotifay con il nostro smartphone – a bassa risoluzione -, la percezione potrebbe essere che il colpevole sia la tecnologia. Credere che la tecnologia ci risolva e migliori la vita è una delle più grandi aspettative di questi tempi. Immaginare che vi sia una relazione diretta e lineare tra la tecnologia e la qualità della nostra quotidianità, è un’operazione semplificatoria. Se fosse vero, vorrebbe dire che i nostri problemi esistenziali si risolverebbero in questa costante progressione. Invece non è così e non sarà mai così. Caricare la tecnologia di tali responsabilità è fuorviante e pericoloso perché non ci fa vedere le nostre responsabilità. Semmai questo è il grande tema: la tecnologia ci aiuta a risolvere dei problemi superficiali, trovare via gps un luogo dove prima avremmo impiegato molto più tempo, ma non dirime le questioni profonde del nostro vivere. La centralità del libro sta nelle prime pagine e nel capitolo “L’Altrove”. Mantellini richiama un libro scritto da Guido Morselli negli anni cinquanta del secolo scorso dal titolo “Dissipatio H.G.”:
“Il libro comincia così. Un uomo voleva uccidersi: con un gesto estremo intendeva negarsi alla comunità dei viventi. Quando ci ripensa e torna sui suoi passi gli altri esseri umani se ne sono andati, non ci sono più. Due forme simmetriche di una stessa solitudine. Cito l’inizio straordinario di “Dissipatio H.G.” perché non conosco esempio migliore per descrivere l’imponderabile. La deviazione inattesa dalla linea prestabilita. L’istante, magari piccolissimo, che perturba il destino e cambia lo scenario.”
Dobbiamo arrivare più in là
Nel dibattito tra chi rifugge ogni cambiamento, sostenendo che si stava meglio prima, e gli entusiasti, che in modo messianico vedono solo la luce di ciò che sta di fronte a loro, Mantellini osserva che “l’altrove” è la differenza tra ciò che avremmo voluto accadesse e ciò che, invece, si è verificato: il luogo, per definizione, dove noi portiamo le nostre vite oltre le paure e gli entusiasmi. La stessa bassa risoluzione che da noi viene vista come bassa qualità, e per molta tecnologia lo è, per l’autore, portando l’esempio di una foto scattata con il cellulare in una notte stellata,
“è una forma di distacco poetico dal reale, uno spazio di umanità non intenzionale che costruiamo intorno a noi. Un luogo dove la distanza fra il cielo sopra di me e la foto assolutamente nera che ho appena postato su Twitter consentono ancora un piccolo spazio di manovra.”
Passando da Matisse a Goffredo Parise, antesignano della forma breve, ad alta risoluzione, che poi ha generato Twitter, Mantellini, in questa sua dotta riflessione, offre uno sguardo che tenta di entrare nella nostra contemporaneità: se la tecnologia ha assunto un evidente ruolo nell’orientare le nostre scelte culturali e sociali, la bassa risoluzione è un processo di crescita culturale per altre vie. In fondo siamo immersi in una nuova situazione dove ognuno di noi è un apprendista stregone e le sbandate sono facili da prendere. Siamo in un’epoca di transizione molto veloce, forse questo è il principale guaio. I codici di lettura e di interpretazione della realtà non sono facili per nessuno. Né tantomeno le prognosi sono scontate vista la mutevolezza del contesto. L’attenzione, però, a quello che avviene, rimane il solo strumento per fare un po’ di ricognizione. E partendo da questa visone sfuocata correggere il tiro. Come quando stiamo guidando un’auto in corsa, le correzioni sia millimetriche che le sterzate hanno la stessa dignità e valore. La morale, se questa può esserci in un libro che apre più che chiudere la discussione, non sta nel giudicare internet quale creatore della nostra stupidità, ma quale oggetto che ci sta rendendo differenti da come eravamo, e immaginavamo di essere. Internet ha aperto il mondo in modo orizzontale. L’umano rimane con la sua intatta verticalità. Quella che va ricercato è il punto di intersezione fra superficie e profondità.
Titolo: Bassa risoluzione
Autore: Massimo Mantellini
Editore: Einaudi
130 pp; 12 Euro