Uno strano destino ha riservato a Giuseppe Conte e Giovanni Tria, due uomini lontani dalla politica fino al mese scorso, una scelta che può segnare a fondo l’Italia per molti anni. Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia devono compierla entro pochi giorni ed entrambe le strade davanti a loro sono piene trappole: se prendono la prima, mettendo un veto alla proposta franco-tedesca di riforma dell’area euro emersa martedì, rischiano di innescare una catena di eventi che porterebbe alla sostituzione di Angela Merkel con un cancelliere tedesco ancora meno disposto a compromessi. Ma se imboccano la seconda, accettando quella bozza franco-tedesca al vertice Ue di fine mese, le conseguenze possono essere almeno altrettanto sgradevoli: un governo dell’unione monetaria nel quale il Bundestag conquista di fatto un potere speciale di indirizzo sulle politiche economiche di tutti e conquista le basi giuridiche per poter guidare presto o tardi l’Italia verso un eventuale «default», più o meno ordinato, alle prossime tensioni sul debito.
Nessuna di queste opzioni è appetibile, ma sono le sole rimaste. Lo sono perché la situazione che ha portato fin qui non ne lascia altre. Non solo fra i conservatori tedeschi, ma anche fra alleati di Berlino come l’Olanda o la Finlandia, la cancelliera è sotto accusa per le timide concessioni fatte al presidente francese Emmanuel Macron: un «bilancio della zona euro» (da quantificare, ma piccolo) «per promuovere la competitività, la convergenza e la stabilizzazione dell’area euro» a partire dal 2021. Per l’Italia respingere quell’accordo franco-tedesco significa bloccare anche questa parte e soprattutto sconfessare la cancelliera, rischiando di perderla e poi rimpiangerla come interlocutore.
Eppure accettare il patto franco-tedesco è altrettanto insidioso, perché la parte di esso voluta da Berlino è pensata per subordinare anche giuridicamente l’area euro al Bundestag e aprire una strada che può portare l’Italia alla ristrutturazione del debito: una ferita che segnerebbe a fondo un’intera generazione e infliggerebbe danni molto gravi all’intero sistema finanziario. Questa parte dell’accordo fra Merkel e Macron presenta infatti, dietro un linguaggio accuratamente vago, assonanze evidenti con il piano che aveva già presentato l’allora ministro delle Finanze uscente Wolfgang Schäuble subito prima di lasciare (vedi «Corriere della Sera», 10 ottobre 2017).
In primo luogo infatti il comunicato franco-tedesco di martedì inserisce un nuovo attore politico nel governo dell’euro: il fondo salvataggi (Esm), al quale ora si vogliono dare poteri di sorveglianza sulle scelte economiche e di bilancio dei Paesi della moneta unica. L’Esm, si legge, «dovrebbe avere la capacità di valutare la situazione economica degli Stati membri, contribuendo alla prevenzione delle crisi». Segue un richiamo al ruolo dei parlamenti nazionali in questa vigilanza. Questo è un passo significativo verso la subordinazione di fatto dei Paesi dell’area al Bundestag, dunque agli umori dell’opinione pubblica tedesca, dato il sistema di governo interno dell’Esm stesso. Il fondo salvataggi può infatti prendere decisioni in due modi: nei casi più delicati all’unanimità del consiglio (dove sono rappresentati gli azionisti, cioè i governi dell’euro) e negli altri con una maggioranza con almeno l’80% dei diritti di voto. Dunque solo Germania e Francia hanno di fatto un veto individuale su ogni decisione, perché solo loro hanno quote sopra il 20%. Così l’Esm in questa proposta vigila su tutta l’area euro, in competizione con un organo sovrannazionale come la Commissione Ue, ma non può fare nulla che il Bundestag non approvi: un’evidente violazione del principio di uguaglianza fra Stati alla base dell’Unione europea.
Anche più delicato per l’Italia è poi il secondo aspetto, perché all’Esm si propone di conferire il potere di fare «analisi della sostenibilità del debito» dei Paesi in difficoltà e di «facilitare» il dialogo fra questi Stati e gli investitori privati. È un segno che il Bundestag difficilmente approverà salvataggi che non prevedano il sacrificio di questi ultimi, in modo da ridurre le somme da prestare. È il principio del bail-in bancario applicato ai titoli di Stato. Ed è pensato, senza dirlo, soprattutto per procedere a tempo debito a un rinvio di anni delle scadenze sui bond sovrani di Roma. Per Merkel, è un modo di contenere l’ansia dell’opinione pubblica tedesca di dover pagare per il debito italiano. E a maggior ragione diventa importante per il governo giallo-verde controllare il deficit, in modo da non rimettere in gioco la fragile tregua che Tria ha conquistato sui mercati.