Theresa May vacilla ma non molla: la premier britannica si trova sotto assedio ma ha detto di essere pronta ad affrontare un voto di fiducia in Parlamento dopo le dimissioni di due ministri-chiave ieri. David Davis, il ministro responsabile dell’uscita dall’Unione Europea, ha lasciato l’incarico, seguito a ruota dal ministro degli Esteri Boris Johnson, per protesta contro la strategia su Brexit della May. «La Gran Bretagna diventerebbe una colonia», ha spiegato Johnson nella sua lettera di dimissioni, mentre Davis ha detto che la May «ha fatto troppe concessioni alla Ue e prevede un allineamento troppo stretto con le regole imposte da Bruxelles».
Venerdì la premier sembrava essere riuscita a convincere tutti i ministri a sostenere il suo piano da presentare a Bruxelles questa settimana in un Libro Bianco. La strategia manterrebbe la Gran Bretagna in una grande area di libero scambio con la Ue, con regole comuni per facilitare i commercio e risolvere il problema del confine interno irlandese. Come contentino agli euroscettici il piano prevede però la fine della libera circolazione delle persone, dei capitali e dei servizi e la fine della giurisdizione della Corte di Giustizia europea.
Il compromesso, faticosamente raggiunto dalla May dopo due anni di discussioni e divisioni interne al partito e al Governo, non è però risultato accettabile a Davis e Johnson. La premier aveva tentato di imporre la sua autorità, dichiarando che non avrebbe tollerato franchi tiratori e che chi non era d’accordo con la sua strategia avrebbe dovuto dare le dimissioni.
La linea dura le si è ritorta contro ieri con le dimissioni dei due ministri e di due sottosegretari che lavoravano con Davis. La perdita di Davis è imbarazzante ma non catastrofica, dato che era ormai stato relegato ai margini delle trattative con la Ue, condotte di fatto da Oliver Robbins, consigliere della May, per conto della premier. Le dimissioni di Johnson invece rischiano di essere letali, perché l’ex sindaco di Londra è il leader degli euroscettici, è molto popolare tra gli elettori conservatori e non ha mai fatto mistero della sua ambizione di diventare premier.
Il fronte pro-Brexit minaccia altre dimissioni nelle prossime ore se la May non ritirerà il piano o perlomeno non si impegnerà a modificarlo nella sostanza. La premier però resiste: ha prontamente sostituito Davis con l’euroscettico Dominic Raab, si appresta a nominare anche un nuovo ministro degli Esteri e preferisce affrontare un voto di fiducia che modificare le sue proposte su Brexit.
Ieri in Parlamento la May ha difeso la sua strategia, affermando che si tratta della «Brexit giusta». Ha spiegato che negli ultimi due anni ha ascoltato «ogni possibile versione» di Brexit arrivando alla conclusione che solo il piano presentato venerdì può garantire il rispetto della volontà degli elettori che hanno votato a favore di lasciare la Ue ma senza creare danni irreparabili all’economia.
L’apparente tranquillità della May è dovuta al fatto che il fronte pro-Brexit ha i numeri per chiedere un voto di fiducia sulla premier, ma non per vincerlo. Secondo indiscrezioni, la lettera con le 48 firme di deputati conservatori è già pronta.
Se la premier dovesse perdere il voto di fiducia sarebbe costretta a dare le dimissioni e un altro leader del partito, presumibilmente Johnson, verrebbe eletto al suo posto. Questo scenario però è improbabile perché la maggioranza dei deputati conservatori in Parlamento è contraria a una “hard Brexit”, non sostiene Johnson e non vuole essere responsabile di un’uscita senza accordi che potrebbe infliggere seri danni all’economia britannica. Gli euroscettici invece hanno detto più volte che secondo loro lasciare la Ue sbattendo la porta, senza un accordo, sarebbe meglio che accettare un’intesa con troppe concessioni, quindi le possibili conseguenze di un’uscita non li preoccupano.
La Ue ha fatto sapere ieri detto che intende continuare a negoziare con il Governo May nella speranza di arrivare a un’intesa definitiva prima del summit europeo di ottobre. È nell’interesse di Bruxelles sostenere la soft Brexit proposta dalla premier, perché l’alternativa è un’uscita della Gran Bretagna senza un accordo e l’ascesa al potere di un euroscettico.