Botta e risposta tra Washington e Pechino. Nella notte, l’amministrazione Trump ha sollevato il sipario sui dazi contro la Cina che dovrebbero colpire 50 miliardi di dollari di importazioni, dall’alta tecnologia fino ai beni di consumo. L’elenco di 58 pagine contiene 1.333 prodotti da assoggettare a tariffe del 25 per cento. L’obiettivo è strappare concessioni economiche a Pechino e frenarne lo sviluppo tecnologico.
La reazione della Cina è arrivata dopo poche ore: dazi del 25% su 106 prodotti Usa, inclusi soia, aerei, automobili e prodotti chimici. È la rappresaglia che la Corporate America temeva: l’anno scorso, gli Usa hanno esportato in Cina 12,3 miliardi di dollari di soia, 16,3 miliardi nell’aviazione civile e 10,5 miliardi nel settore auto. I balzelli colpiranno in tutto 50 miliardi di dollari di export americano, oltre un terzo di quanto la Cina importa dalla prima economia al mondo (130 miliardi di dollari nel 2017). La loro entrata in vigore, fa sapere il Governo cinese, è legata a quella dei dazi Usa. Per Boeing, che punta moltissimo sul crescente mercato cinese, dove piazza un quarto di tutti i suoi aerei, sarebbe una pessima notizia.
Pechino ha anche annunciato un immediato ricorso alla Wto, come ha già fatto per i balzelli su acciaio e alluminio, per reagire ai quali aveva varato nei giorni scorsi dazi su 3 miliardi di dollari di export Usa. L’annuncio della rappresaglia cinese ha spinto in flessione le Borse.
«Abbiamo detto che non inizieremo una guerra commerciale, ma non ne abbiamo paura», ha affermato un portavoce del ministero degli Esteri cinese. Il viceministro al Commercio, Zhu Guangyao, ha sottolineato che le dispute commerciali vanno risolte attraverso il dialogo. Intanto, la rappresaglia prende di mira l’export di Stati agricoli come Iowa e Texas, dove Trump ha vinto nelle presidenziali del 2016 e sui quali conta in vista delle parlamentari di novembre. O come il Kentucky del leader dei Repubblicani in Senato, Mitchel McConnell.
«Non siamo in guerra commerciale con la Cina, quella guerra è stata persa molti anni fa dalle persone stolte, o incompetenti, che hanno rappresentato gli Usa», ha scritto via Twitter il presidente Usa Donald Trump. «Ora abbiamo un deficit commerciale di 500 miliardi di dollari l’anno, con un furto della proprietà intellettuale di altri 300 miliardi di dollari. Non possiamo lasciare che questo continui!», ha aggiunto. Il segretario al Commercio, Wilbur Ross, ha poi affermato che «non sarebbe sorprendente se alla fine di tutto questo si arrivasse a una sorta di negoziato». E Peter Navarro, altro falco alla guida delle politiche commerciali Usa, ha dichiarato: «Noi compriamo dai cinesi molto più di quanto facciano loro: hanno molto più di noi da perdere».
Le misure Usa scatteranno al termine di consultazioni pubbliche, che dureranno almeno fino al 22 maggio. I dazi, nei calcoli dell’amministrazione, sono equivalenti ai danni sofferti dagli Stati Uniti per effetto delle «scorrette pratiche cinesi», a partire dai trasferimenti forzati di tecnologia imposti alle società Usa in cambio dell’accesso al mercato.
La lista di Washington, redatta sotto l’egida del rappresentante al Commercio Robert Lighthizer con l’utilizzo di un algoritmo per minimizzare l’impatto sui consumatori, comprende prodotti sofisticati quali robotica, attrezzature medicali, tecnologia di telecomunicazione e semiconduttori, aerospazio, inclusi elicotteri e motori per velivoli. I 10 settori innovativi nei quali Pechino punta a diventare la superpotenza mondiale entro il 2025.
Nell’elenco compaiono anche beni intermedi quali macchinari e chimica e di consumo del calibro di lavatrici e spazzaneve. Tra gli articoli più insoliti ci sono test per la malaria, auricolari, defibrillatori, denti artificiali, trivelle, lanciafiamme, fucili e lanciagranate. Sono invece esclusi e quindi (per ora) si salvano molti prodotti di elettronica di consumo, come gli smartphone fabbricati da Apple e i laptop Dell. Accanto ai dazi, il Tesoro sta elaborando restrizioni per arginare gli investimenti cinesi nelle società hi-tech americane.
Le aziende Usa hanno subito espresso preoccupazione. «L’amministrazione è correttamente impegnata a restituire equità alle relazioni con la Cina. Imporre tasse su prodotti usati quotidianamente da consumatori americani e da chi crea posti di lavoro non è però il modo di raggiungere questi obiettivi», ha attaccato Myron Brilliant, vicedirettore della US Chamber of Commerce.
Lo stesso comparto hi-tech ha criticato la Casa Bianca: «La storia insegna che simili dazi non funzionano e sono del tutto controproducenti», ha sottolineato Dean Garfield dell’Information Technology Industry Council. Non riusciranno a spingere la Cina a cambiare, ha continuato, mentre penalizzeranno i consumatori americani aumentando i prezzi di prodotti tecnologici.