Meglio lasciar parlare subito le storie, ed evitare ai Champions l’effetto-retorica. Sarebbero (sono) mille: partiamo da tre, ciascuno a suo modo paradigmatico.
I paradigmi della resistenza
Francesco Nalini,per esempio. Fa l’amministratore delegato di Carel Industries, produce roba complicata: componenti e soluzioni hardware e software per impianti di refrigerazione. Il lockdown l’ha fermato per mesi, qui in Italia e nelle fabbriche in Cina. Il suo è uno dei settori che la pandemia l’hanno pagata cara, eppure: per quanto di poco il fatturato 2020 del gruppo è cresciuto (da 327 a 331 milioni), la redditività operativa è arrivata al19,3%, l’utile netto si è confermato a 35 milioni, l’azienda ha continuato a generare cassa e a investire. Adesso, cioè alla fine del primo trimestre 2021, i ricavi viaggiano a +24%, i margini industriali sono al 22,5%, in PiazzaAffari il titolo segna giusto in questi giorni nuovi record storici.
A differenza di Nalini, Nicola Michelon listini di Borsa con cui misurarsi non ne ha: la Unox,la società di famiglia, non è quotata. Anche per lui però il termometro lo fa il mercato, in questo caso quello dei forni professionali (di altissima gamma), e anche qui parliamo di un comparto pressocché totalmente bloccato. Bene. Il giro d’affari Unox è aumentato da 132 a quasi 140 milioni, i profitti industriali sono andati da 38 a 45,6, il risultato netto da 24 a 27,5. Ora, maggio 2021, guardando a cosa hanno prodotto nei primi mesi dell’anno gli interventi decisi in azienda nel 2020, Michelon ammette che sì, «certi obiettivi me li aspettavo, abbiamo investito e li abbiamo preparati, ma sinceramente non così presto».
Idem, forse, Beatrice Marinello. Guida la Famar, macchine utensili per l’automotive, settore tra i più disastrati dopo turismo,ristorazione, cultura-eventi-spettacoli: nei primi sei mesi i ricavi sono crollati del 70-75%, poi il recupero ha fermato la discesa al 22% (ma a -30%, quasi, per le vendite di auto). Marinello, come tutti i Champions, ha fatto meglio della media e limitato il calo al19%. Soprattutto, però: in un contesto del genere mantenere una redditività industriale del 33% (20 milioni su 60 di giro d’affari, con 10 milioni di utili netti) è prestazione non proprio comune. Dopodiché, quando il mercato è scattato e ripartito, in Famar erano pronti: nuovi macchinari per riprendere ritmi di crescita da sempre sopra il benchmark.
Insomma: i Champions corrono. Veloci. Nonostante tutto. Sarebbe ancora più evidente se avessimo iniziato il racconto con le imprese che il «mercato da pandemia» ha favorito consentendo performance straordinarie. Tra le prime tre aziende per tasso di sviluppo 2019-2020, per dire: la Copan di Stefania Triva era l’unica al mondo a produrre tamponi, e questo spiega il raddoppio del fatturato a 280 milioni; Gima distribuisce articoli e apparecchiature medicali che con il Covid sono andati a ruba, di qui il salto 43 a 83 milioni; Veralab, più nota come L’estetista Cinica, forse è la sola—perché il percorso imprenditoriale di Cristina Fogazzi è ancora all’inizio — che potrà ripetere il largo raddoppio grazie al quale, anno dopo anno, è arrivata a 50,5 milioni di ricavi (con 11 di utili netti).
Il punto è: non è questa, evidentemente, la «normalità». Non sono gli exploit da circostanze straordinarie a rendere l’idea di cosa fa di un’azienda una Champion anche negli scenari estremi, ieri la lunga crisi 2008-2013, oggi una pandemia che a qualcuno ha dato tutto e a molti, invece, lo ha tolto. La risposta va cercata «leggendo» tutte le Top Mille de
L’Economia-ItalyPost edizione 2021, che poi sono in maggioranza le stesse delle tre edizioni precedenti (ed è parte della risposta, segnale di una crescita costante). Chi ha vinto e chi ha perso, nell’anno del Covid, ha comunque reagito allo stesso modo: investendo, cercando di immaginare e anticipare il mondo post, preparando le condizioni migliori per la ripresa. Non li ha fermati la pandemia, neppure quando avevano le fabbriche chiuse: turismo e ristorazione a parte, completamente bloccati, tutte le aziende «Campioni» hanno tenuto o addirittura sono cresciute — e a ritmi sorprendenti — persino in settori che il lockdown ha a lungo paralizzato. Non si fermano ovviamente adesso, e non è una frase convenzionale: questa è gente che non si accontenta della semplice ripresa, per quanto robusta prometta di essere. L’abbiamo visto: i loro bilanci 2020 e, più ancora, le loro prime trimestrali 2021 vanno di corsa, anticipano già tassi di crescita a due cifre. Come se la campagna vaccinale fosse stata completata mesi fa e i fondi europei per la ricostruzione fossero da tempo nelle casse delle aziende. E se è così adesso, se i dati e le testimonianze raccolti dall’indagine Champions 2021 sono un buon barometro per il meteo che verrà (lo sono), vuol dire che forse, in definitiva, il disastro Covid è stato un po’ meno disastro di quanto temessimo quando c ’eravamo in mezzo. Non c’è dubbio che gli imprenditori dei servizi, impotenti, abbiano pagato e paghino prezzi insostenibili. La manifattura però ha tirato fuori il meglio di sé. Come del resto è sempre successo durante le crisi, compresa la lunghissima recessione 2008-2013. Non ce lo ricordiamo, ancora storditi dall’impatto drammatico con un virus che ha stravolto le vite di tutti e causato oltre 120mila morti, ma sul piano economico quella fu infinitamente peggiore. In un solo anno, il 2009, in Italia il fatturato dell’industria preciptò del 16%. Nel 2020 il crollo si è fermato al 9,3%. E davanti abbiamo la ripartenza, non un tunnel di cui non si vede la fine.
Chi traina la ripartenza
Ecco. Allora come ora, della ripresa i Champions sono già chiaramente una delle locomotive. Piccole e medie imprese, sì: singolarmente, fatturano tra i 20 e i 500 milioni. Ma tutte insieme, per cominciare, valgono 85 miliardi di fatturato (dati 2019, gli ultimi completi e approvati alla chiusura della ricerca): più del primo gruppo italiano nel- la classifica di Mediobanca, il doppio della manovra economica 2020. Soprattutto: se sono lì, selezionate tra leTopMille, è perché hanno superato l’esame di sei anni di bilancio sui fronti dello sviluppo, della redditività, della solidità finanziaria. A farne il centro della resistenza alla crisi nel 2020 e a farne adesso, insieme ai pochi grandi gruppi del Paese, l’asse portante di una ripartenza che ai loro ritmi sarebbe da boom senza precedenti, è un profilo facilmente riassumibile. Crescita media: 10% l’anno tra il 2013 e il 2019. Redditività nell’ultimo triennio: 17%.
Situazione finanziaria complessiva: 4 miliardi di cash e 54,7 miliardi di patrimonio netto. Ritorno sul capitale: quasi il 15%. Non c’è investimento al mondo che renda altrettanto. Il dettaglio, e il segreto del successo dei Champions, è che gli utili li reinvestono in azienda. Le crisi le battono così. La ripresa la amplificano allo stesso modo.
(P.S. C’è un’altra caratteristica comune ai top performer: è il senso della responsabilità sociale dell’imprenditore, che del resto loro considerano fattore fondamentale del successo. Per questo nella ricerca non compare il primo gruppo per dimensioni. I parametri economici di Elica ne farebbero uno dei «Campioni»: se il suo piano di chiusure, licenziamenti, delocalizzazione fosse conciliabile con quel titolo).