«Educare i giovani al digitale? Certo, ma prima gli adulti preparino sé stessi»: non fa giri di parole, don Antonio Mazzi, fondatore della comunità Exodus e protagonista venerdì al teatro Zandonai alla prima giornata del festival “Informatici senza frontiere” di Rovereto.
Don Mazzi, nel suo intervento ha parlato dell’esigenza di una nuova educazione per le generazioni digitali. Da dove partire?
Non sono le maledizioni né le proibizioni a risolvere i problemi. Ci sono strumenti e mezzi nuovi. Dobbiamo educare i nostri ragazzi a capirli e a usarli bene e fare il possibile perché divengano strumenti utili, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello culturale. Non dobbiamo convincerci del fatto che i ragazzi usino questi mezzi solo per le porcherie. Dobbiamo mettere sul tavolo il problema con gli aspetti negativi, ma anche con quelli positivi.
Come indirizzare i giovani verso la “retta via”?
Molti giovani non sanno scegliere perché noi siamo i primi a non scegliere. Diciamo dei “sì” e diciamo dei “no”, ma in una maniera che non corrisponde al tipo di comunicazione di cui hanno bisogno. Con i giovani si deve parlare in modo semplice e molto chiaro. Serve un metodo, serve fiducia e serve un atteggiamento propositivo: queste sono l’educazione e la civiltà di domani. Non torneremo a carta, penna e calamaio, dobbiamo regolarci di conseguenza.
Partendo dalla scuola?
Si parte certamente dalla scuola, ma poi c’è il doposcuola e c’è la sera quando i ragazzi sono chiusi da soli in camera. Dobbiamo anzitutto maturare e dire a noi stessi dei “sì” e dei “no”. Se ce li diciamo noi, poi le indicazioni che usiamo le usiamo alla luce della coscienza che abbiamo. Dedichiamo troppo poco tempo a parlare con i nostri ragazzi e a ragionarci assieme».
Dunque, meglio partire dagli adulti.
Certo. Se in una squadra ci sono problemi, prima di arrabbiarsi con i giocatori bisogna arrabbiarsi con l’allenatore, che non sa gestire lo spogliatoio, che non sa dare le giuste direttive. Spesso il problema è che noi adulti siamo più immaturi dei nostri figli. Dobbiamo metterci in gioco, con l’obiettivo di arrivare a essere più chiari, più pazienti e più dialoganti con i giovani. Un adulto non può non essere educatore, altrimenti è diventato solo vecchio. Poi i giovani possono sbagliare e sbaglieranno, come sbaglia un neopatentato quando gli diamo la macchina.
Come Exodus come gestite i casi di dipendenza “digitale”?
Occorre essere sereni. Non andare a fare la guerra o presentarsi come dottori che sanno tutto. Dobbiamo trovare l’umiltà e la pazienza senza le quali giustamente non siamo rispettati né accettati. Ci impiega una stagione a maturare una ciliegia, figuriamoci – conclude don Mazzi – una persona.
*Il Trentino, 12 ottobre 2018