Le statistiche demografiche indicano che in gran parte dei paesi europei e negli Stati Uniti il numero di donne supera quello degli uomini. Il dato mondiale è inverso perché in paesi vasti come Cina e India la proporzione è opposta per ragioni di selezione delle nascite e per l’incidenza di femminicidio andando così ad alterare i numeri assoluti, tuttavia nella realtà occidentale il dato è abbastanza stabile e c’è poco da fare, è la natura. Ma ci sono stati momenti storici in cui il divario era ancora superiore e non dipendeva dalla casuale prevalenza di uno spermatozoo portatore del cromosoma X o Y: al termine della prima guerra mondiale la popolazione maschile in paesi come l’Inghilterra era stata falciata e tutte le donne rimaste – vedove e fidanzate che non avevano avuto il tempo di conoscere le gioie del matrimonio – erano definite «donne in eccedenza». A queste appartiene Violet Speedwell, trentotto anni nel 1932, che ha perso il suo grande amore e promesso sposo nella Grande Guerra e cui non resterebbe altro da fare che rassegnarsi a una vita da zitella. Ma Violet vuole cucirsi una vita a propria misura e vuole trasformare la solitudine forzata in dignitosa autonomia.
Tracy Chevalier, autrice di La ricamatrice di Winchester , è maestra riconosciuta nel tirare fuori dal cilindro godibilissimi romanzi a partire da fatti storicamente veri ma parzialmente sconosciuti, con un interesse più spiccato nei confronti della condizione femminile delle donne sole e lavoratrici nel corso dei secoli, come la scullery maid che viene immortalata da Veermer in La ragazza con l’orecchino di perla o le paleontologhe protagoniste di Strane Creature. Anche in questa storia lo spunto è reale, quello di un gruppo di volontarie che negli anni trenta sotto la guida di Louisa Pesel ricamò i cuscini per la Cattedrale di Winchester, una piccola cittadina nel sud dell’Inghilterra, dove a tutt’oggi sono ancora in uso. A questo gruppo la Chevalier immagina che si unisca Violet, che non ha mai tenuto un ago tra le dita ma che sente il bisogno di generare qualcosa che resti nel tempo ed è determinata a lasciare qualcosa di sé che le sopravviva.
Violet è un’eroina coraggiosa e tenace, con volontà e desideri del tutto chiari a sé stessa; sa che non può continuare a vivere con una madre incattivita dalla perdita del figlio primogenito e dalla vedovanza; sa di voler stare da sola, magari mangiando solo pane secco e pasta di acciughe perché il suo stipendio in una ditta di assicurazioni basta appena per la propria sussistenza e per concedersi di tanto in tanto il lusso del cinematografo. Ma sa anche che la libertà non ha prezzo ed è ben determinata a garantirsi la propria. Appena trasferitasi a Winchester da Southampton, dopo una fugace visita alla Cattedrale decide di imparare a ricamare e se le manca l’esperienza si farà bastare la buona volontà e l’impegno.
È difficile non affezionarsi a Violet e vivere con lei la sua giornata scandita dall’operosità di una vita modesta, dai piccoli sogni, dai grandi rimpianti di come tutto sarebbe stato diverso se il suo Laurence non fosse morto in guerra. Ma non si piange addosso Violet, che è saggia anche nella gestione della propria solitudine, il cui cuore è pronto a ricominciare a palpitare – anzi forse non aspetta altro che battere di nuovo per qualcuno. Sullo sfondo il ricamo, il suo potere di spegnere la luce sui cattivi pensieri, almeno per il tempo in cui grazie all’abilità delle sue mani un filo da solo (che non a caso dà il nome al titolo originale del romanzo) si trasforma in un disegno.
Ma a Winchester la storia di Violet si intreccia anche a quella di altre donne «in eccedenza», Gilda e Dorothy, due ricamatrici la cui reciproca tenerezza è costretta a essere tenuta nascosta; come pure nascosto deve rimanere il feeling che nasce tra Violet e Arthur, il campanaro della cattedrale che ha perso un figlio in guerra e ha una moglie resa folle dal dolore. Ma questo romanzo non è una storia d’amore: è prima di tutto il racconto di una piccola storia nella grande storia, quella delle donne sole smarrite nei tempi costretti a cambiare dalla guerra, quando la geometria sociale subisce uno scossone talmente forte da non potersi più riallineare in una confortante simmetria. Tempi in cui i fili singoli, per sperare di sopravvivere, possono soltanto imparare ad annodarsi in disegni forse imperfetti, ma certamente forti come la loro volontà.
*La Stampa, 11 gennaio 2020