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Il 7 dicembre 2001 Otello inaugurava la nuova stagione della Scala; sul podio Riccardo Muti, nel ruolo eponimo c’era Placido Domingo. Al Grand Hotel Et de Milan alloggiarono in quelle settimane una ventina di dominguette — così si chiamavano le fan del tenore che giravano il mondo per assistere alle opere in cui cantava, un po’ come faceva il club degli Abbadiani Itineranti con Claudio Abbado. Erano tutte danesi, tutte ultranovantenni che non volevano perdersi una sola recita di Domingo. Già allora tanti appassionati si muovevano per assistere a opere e concerti; Vienna e Berlino, i festival di Salisburgo o Glyndebourne, il sacro tempio wagneriano a Bayreuth. E l’Italia già nel Sette e Ottocento era meta dei «viaggi di formazione» per pittori, musicisti e letterati di mezza Europa.La Scala innanzitutto, ma anche i teatri di Napoli, Palermo, Bologna e Firenze, le città legate a memorie musicali come Pesaro per Rossini, Parma e Busseto per Verdi o Cremona per Stradivari. Un turismo musicale di cui ancora a inizio millennio si aveva poca conoscenza; infatti c’erano bagarini che in quegli anni guadagnavano e non poco vendendo platee e gallerie ai turisti che passeggiavano nei centri cittadini o che si informavano negli alberghi dove alloggiavano sulla possibilità di vedere qualche spettacolo. Il Ravello Festival, cresciuto nel nome di Wagner, uno dei suoi «ospiti» più illustri. Oltre alla musica, i turisti cercano qui la bellezza del paesaggio e la storia del Sud.
La realtà italiana
A fine 2018 la ricercatrice Martha Friel ha realizzato per la Fondazione Santagata per l’Economia della Cultura (su incarico di CUOA Business School, capofila del progetto “Note in Viaggio”) il Primo Rapporto sul Turismo Musicale in Italia e in Veneto. L’immagine dell’anziano melomane facoltoso che si affida a tour operator specializzati (come il «Sipario Musicale», attivo da oltre vent’anni a Milano, che organizzava anche i viaggi musicali per il Touring e il Fai) e soggiorna in alberghi a 4 o 5 stelle è vera, ma fotografa solo una piccola parte di questa realtà: secondo il Rapporto si rivolge ai tour operator il 2,6% dei turisti musicali, mentre l’82% si organizza autonomamente. E solo chi identifica la classica come un mondo antico legato a tradizioni immutabili si sorprende di fronte alla rivoluzione portata anche qui dal web: il 72% cerca informazioni, sceglie gli spettacoli e pianifica le proprie trasferte musicali attraverso i siti internet di teatri e festival.
Venezia cresce con l’online
Così la Scala, nonostante abbia numerosi abbonati e nel 2017 abbia stipulato una nuova convenzione con le agenzie specializzate nel turismo culturale incoming, vede comunque venduti online più della metà dei propri biglietti; una percentuale che cresce in modo sensibile a Venezia, dove quello via internet è ormai di gran lunga il canale d’acquisto privilegiato. Come dire: tramite pc o smartphone si cercano platee e gallerie per ascoltare Puccini o Mozart. I dati rilevati dagli acquirenti informatici hanno sfatato un altro luogo comune: chi si immagina platee invase da cinesi e giapponesi col cellulare i mano deve ricredersi: alla Scala sono all’ottavo posto e nettamente distanziati quanto a presenze, a Venezia addirittura più indietro. La maggioranza degli spettatori stranieri accolti al Piermarini è rappresentata dagli americani, seguiti da tedeschi, russi, svizzeri, francesi e, più distanziati, inglesi, austriaci e cinesi.
Il sorpasso americano
Gli statunitensi «vincono» anche alla Fenice, ma di pochissimo su francesi, inglesi e tedeschi, poi su russi, spagnoli, austriaci e cechi. Forse c’è qui la conferma di un’immagine collettiva: che siano proprio gli americani a sfruttare di più e meglio internet; e che internet apra a un mondo globale: se la presenza dei russi può essere spiegata con l’avanzare della nuova classe benestante e quella di tedeschi e inglesi con il tradizionale amore per la musica e l’arte del Belpaese, il maggior afflusso dall’America Latina che inizia a rilevarsi soprattutto nei festival è probabilmente legato alle nuove possibilità offerte dal web. Certo, al di là della, rete bisogna muoversi per davvero; l’incremento del turismo musicale è legato alle infrastrutture. Interessante l’esempio veneziano: «Da quando in treno ci si mettono due ore e 6 minuti dalla stazione di Santa Maria Novella a quella di Santa Lucia ho visto sempre più comitive di toscani agli spettacoli pomeridiani» annota il sovrintendente della Fenice Fortunato Ortombina. È stato lui a raddoppiare le recite d’opera, portandole da 55 a 105: «Registrammo un aumento esponenziale degli spettatori stranieri, che erano arrivati a superare quelli italiani. Quando le recite d’opera sono ulteriormente salite, arrivando a 150, sono cresciute le presenze degli italiani: probabilmente la vista di un pubblico così variegato ha giovato all’immagine del teatro presso il pubblico locale che, colpito e incuriosito, ha ricominciato a frequentarlo».
Che cosa funziona davvero
Le dinamiche del pubblico e la presenza degli stranieri portano alla domanda cruciale: che cosa spinge a recarsi in un teatro o a un festival?La qualità dei cartelloni (il Festival Verdi a Parma tutto basato sulle più recenti, spesso inedite edizioni critiche) e degli interpreti (il talento di Juan Diego Flórez è sbocciato a Pesaro), il mito di certi nomi, siano del teatro (il museo teatrale della Scala, marchio italiano più noto nel mondo assieme alla Ferrari, registra ogni anno 250 mila visitatori) o dei compositori. Il Rossini Opera Festival attira a Pesaro, città natale del maestro, un pubblico per il 67% straniero, in percentuali minori ma comunque significative lo fanno il Festival Donizetti a Bergamo e lo Stradivari a Cremona. Il Ravenna Festival si lega a un direttore: gli spettacoli più richiesti sono quelli che vedono protagonista Riccardo Muti, anima della rassegna assieme alla moglie Cristina, anche se il momento con la maggior percentuale di stranieri si ha in autunno, con il trittico operistico che permette di godersi con un solo viaggio e pochi pernottamenti tre grandi titoli lirici. Il Ravello Festival è cresciuto nel nome di Wagner: «Qui arrivò a dorso di mulo il 26 maggio 1880 e rimase così incantato da Villa Rufolo che su quel panorama modellò la torre di Klingsor del Parsifal cui stava lavorando» ricorda il direttore artistico Alessio Vlad: «In quello stesso giardino spettatori di tutto il mondo si ritrovano, magari all’alba o al tramonto, per godersi non solo un’ouverture dal Rienzi o dal Tristano, ma anche Beethoven o Ciajkovskij». La bellezza dei luoghi, oltre alla ricchezza artistica delle città, è infatti l’altro elemento che rende uniche la rassegne italiane: lo Sferisterio di Macerata sorge vicino al mare, i tanti nordici che preferiscono il lago si recano tra fine agosto e inizio settembre allo Stresa Festival, per gli amanti della montagna impareggiabili e irrinunciabili sono i Suoni delle Dolomiti che Mario Brunello e Trentino Marketing portano ogni estate tra le guglie e i rifugi dei Monti Pallidi. Perché l’Italia è un Paese meraviglioso e unico, ma anche quando si parla di musica (la Fenice docet) spesso devono essere gli stranieri a ricordarcelo.
*Corriere della Sera, 14 gennaio 2019