Un governo composto dal centrodestra e dal Pd. Il quadro politico appare confuso ma gli imprenditori e gli operatori finanziari presenti al meeting di Cernobbio di primavera, quello dedicato alla finanza, alla fine sceglierebbero di andare sul sicuro. Richiesto di un parere sul «governo più auspicabile per il Paese» il 29,3% dei partecipanti opta per un esecutivo che comprenda uno dei vincitori delle elezioni (il centrodestra) e il principale sconfitto, il Pd. Le altre soluzioni restano lontano nelle preferenze con la metà dei consensi, tra il 16 e il 14%, e chi auspica un governo Di Maio-Salvini pesa grosso modo come chi propende per i Cinque Stelle assieme al Pd. L’auspicio su ciò che deve venire si salda strettamente al giudizio su ciò che è stato: alla richiesta di un parere sull’operato del governo Gentiloni fa seguito quasi un plebiscito. Due terzi dei presenti a Cernobbio lo valuta «positivo» o «molto positivo» e solo il 10% preme il pulsante con scritto «negativo».
Secondo Mario Monti, presente al seminario in qualità di speaker, «il risultato del sondaggio mostra che si preferisce quella formula perché il peso dei populisti sarebbe tutto sommato contenuto». Per il finanziere Davide Serra, «questa platea di imprenditori ha terrore che parta l’assalto alla diligenza e invece di dilapidare soldi con il reddito alla cittadinanza alla fine preferisce una coalizione che tagli le tasse e li metta in grado di assumere nuovo personale». Secondo Valerio De Molli, amministratore delegato di The European House-Ambrosetti e gran regista del meeting, «la classe dirigente guarda alla stabilità e teme i cambiamenti al buio, il voto della platea si spiega così». Sia le imprese sia i mercati finanziari alla fine sembrano aver ancora paura dei 5 Stelle nonostante i tentativi di Luigi Di Maio di mostrarsi pragmatico e rassicurante. L’economista Luigi Zingales, che a differenza di molti suoi colleghi non demonizza i grillini, spiega così l’esito del sondaggio: «L’ establishment italiano ha paura della discontinuità e per questo si sente garantito dalla presenza di Forza Italia e Pd in un ipotetico nuovo governo. Ma si illudono che la Lega di Salvini sia la stessa di Maroni, non è proprio così».
Giudizi a parte — e per onestà va detto che non sempre i votanti di Cernobbio in passato ci hanno preso, visto che applaudirono persino Gianis Varoufakis — il seminario ha fatto emergere lo spaesamento e i timori che condizionano in questa fase gli orientamenti della classe dirigente italiana. Non a caso mentre l’economia reale — fatta di export, di autostrade piene di Tir e di imprese con alto Ebitda — viaggia a buon ritmo, nei discorsi degli speaker convenuti in riva al lago la parola che ricorre ad ogni piè sospinto è «rischi». Così si documentano elaborate simulazioni su ciò che potrà accadere quando terminerà il quantitative easing della Bce e ci si divide nel prevedere quando inizierà una nuova prossima recessione. Visuali decisamente sfalsate si potrebbe dire, come se nessuno avesse l’energia necessaria per partire dal bicchiere mezzo pieno e andare avanti, ci si rassegna invece solo a prevedere la tempistica dello svuotamento di quello stesso bicchiere. Visto il revival della cultura greca classica viene da dire che mentre avremmo bisogno di qualche Eracle e qualche Ulisse troviamo solo delle aspiranti Cassandre. E in queste condizioni riavvicinare élite e società appare un’impresa disperata, il populismo sembra aver fiaccato anche lo spirito dell’ establishment .
Potrà risultare singolare infatti, ma alla fine lo speaker che con più convinzione ieri ha denunciato la voragine di sfiducia che esiste tra i governi e le persone — e che abbia spronato i commissari di Bruxelles a mettere in campo le iniziative necessarie — è stato il tecnocrate per antonomasia, l’ex premier Monti. Che ha auspicato un nuovo patto tra i Paesi del Sud Europa e la Germania, in cui la seconda dovrebbe accettare il deficit solo se serve a finanziare investimenti «e non spesa corrente come ha fatto l’Italia nel recente passato». E ha persino ammonito dal nutrire «eccessiva deferenza nei confronti dell’egemonia intellettuale di Berlino». All’opposto di un Monti grintoso e costruttivo l’iconoclasta Zingales ha scelto nel suo intervento di maramaldeggiare sulla crisi della borghesia italiana. «Da Mani Pulite ad oggi — ha sentenziato — l’idea che gli imprenditori del Nord potessero sostituire la classe politica ha dato risultati non brillanti. Alla fin fine Chicago ha prodotto Obama e Milano invece Berlusconi e negli ultimi 25 anni non c’è stato in Italia un premier nato al di sotto di Roma». Vuol dire che toccherà a Pomigliano d’Arco riparare il torto?