Roberto Gualtieri è entrato ieri nel ministero dell’Economia giusto in tempo per le decisioni più difficili. Il nuovo responsabile prende possesso dell’ufficio al piano nobile di via XX Settembre — una sala vasta, vuota, dai soffitti altissimi — sapendo cosa lo aspetta: fra sette giorni a Helsinki vedrà tutti i suoi colleghi europei e i commissari Ue e sonderà fin dove può spingere al rialzo, senza strappi dannosi, il deficit nel 2020. Quindi avrà due settimane per stendere una «nota di aggiornamento» imperniata sul quel nuovo dato di disavanzo. Infine altre due per distribuire in legge di Bilancio i sacrifici inevitabili e i (limitati) benefici possibili.
Gualtieri martedì notte era nel suo alloggio a Bruxelles, impegnato a studiare le carte per l’audizione all’europarlamento di Christine Lagarde dell’indomani. Il mattino dopo ha annullato la sua presenza all’incontro con la francese che deve prendere il posto di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea, ed è riapparso ieri per il giuramento al Quirinale. Gualtieri nelle foto sorride, ma per il resto del tempo è rimasto a lungo serio. Sa di poter contare su contatti diretti con tutti i principali attori della politica economica europea. E gli serviranno, dati i numeri che eredita da M5S e Lega. Perché il risultato è chiaro a chi, come lui, ha già fatto i conti: il nuovo governo di M5S e Pd finirà con l’indicare un obiettivo di deficit nel 2020, ironicamente, vicinissimo a quel 2,4% del prodotto lordo (Pil) che un anno fa agitò i mercati e fece saltare i rapporti fra Roma e Bruxelles. La scommessa, per Gualtieri, è farlo senza contraccolpi in Europa e fra gli investitori.
I numeri del resto non lasciano scelta, malgrado l’apertura di credito offerta ieri da Fitch. Il governo di Paolo Gentiloni nel 2018 aveva lasciato al primo gennaio prossimo aumenti dell’Iva per 19 miliardi: clausole per mostrare a Bruxelles che il disavanzo sarebbe sceso verso lo zero. Il governo Lega-M5S ha comportato un aumento di spesa corrente di quasi un punto di reddito nazionale, circa 15 miliardi, per due motivi. Il primo è l’introduzione delle pensioni anticipate a «quota 100» e del reddito di cittadinanza; il secondo l’aumento degli interessi sul nuovo debito pubblico dovuta al sospetto che l’Italia fosse disposta a uscire dall’euro: il costo medio dei nuovi titoli era stato di 0,68% nel 2017 ed è salito a 1,07 nel 2019. Vista la taglia del debito, fanno quasi due miliardi di spesa in più all’anno che sarebbero stati evitabili.
L’effetto è che M5S e Lega hanno alzato a 23 miliardi le clausole di aumento automatico dell’Iva dal primo gennaio, solo per stabilizzare il deficit. Ora il calo degli interessi sul debito iniziato a giugno scorso sta liberando un po’ più di tre miliardi di spesa nel 2020 e circa altrettanto da un uso minore del previsto di «quota 100». Il risultato netto è che il deficit nel 2020 sarebbe probabilmente di circa l’1,6% del Pil o poco più, se scattassero quegli aumenti Iva (che tutti promettono impedire); ma salirebbe a un politicamente insostenibile 3% del Pil senza gli aumenti Iva.
Di qui la prima missione di Gualtieri: deve trovare nel bilancio oltre 15 miliardi di risparmi o nuove entrate per riportare anche l’anno prossimo il deficit verso il 2% del Pil, dove arriverà anche quest’anno. Il ministro sa già che una stretta di queste dimensioni sarebbe troppo pesante per un’Italia già oggi a crescita zero, mentre la Germania è vicina alla recessione e la produzione industriale è quasi ferma persino negli Stati Uniti. Per questo il ministro ha davanti a sé un’alternativa: può restituire agli italiani parte dei sacrifici sotto forma di tagli alle tasse sul lavoro dipendente, o può limitare molto la stretta di bilancio. In entrambi i casi il deficit è destinato a salire verso il 2,5% del Pil nel 2020. Per questo farlo in accordo con Bruxelles è così importante: una rottura politica costerebbe cara sui mercati.