La pacchia è finita. Tocca a Salvini sperimentare, stavolta su se stesso, una delle sue gradassate verbali preferite: va in pezzi il governo cui i suoi promotori avevano solennemente pronosticato cinque anni di solida vita. E il primo a rischiare di rimanere sotto le macerie è proprio lui, l’autoproclamato Capitano, che a forza di lodare se stesso ricorda la rana della favola di Fedro, scoppiata per eccesso di autostima. A pagare il prezzo più salato non è peraltro lui stesso, né il suo scalcinato partner, altrettanto prodigo di autoelogi e di storici proclami (ricordate il trionfale annuncio dal balcone fatidico di aver abolito la povertà? ).
No, il conto vero lo pagano gli italiani: un anno di annunci e promesse che evaporano nel vuoto. Lasciando sul terreno i problemi veri. Vale a maggior ragione per un Veneto che in questi mesi ha elencato, e a voce alta, una sequenza di pressanti richieste, puntualmente accompagnate dalla garanzia “questa è la volta buona”: sarebbe davvero devastante l’impatto di una caduta del governo, oggi più che mai verosimile. Dall’autonomia alle infrastrutture carenti, dal peso delle tasse alle misure per le imprese, le sollecitazioni poste con tanta forza sarebbero destinate a sprofondare nel buco nero delle incompiute.
Non sarebbe certo un governo alternativo, pasticciato ed inetto almeno quanto l’attuale se non di più, a sbloccare i progetti. E se elezioni dovessero essere, qualsiasi fosse il loro esito, i tempi si allungherebbero ancora di più; senza neppure la garanzia che i nuovi eletti saprebbero poi fare di meglio. Perché il vero nodo non è chi vince, ma la vistosa trasversale debolezza dell’odierna politica.
E proprio qui viene a galla un concreto, immediato problema per il Veneto chiamato alle urne: a chi dare il proprio consenso, dopo l’ennesimo buco nell’acqua? Pochi mesi fa, alle europee, i suoi elettori hanno premiato in modo massiccio la Lega, facendole sfiorare la maggioranza assoluta, con un’evidente apertura di credito. Che non basterebbe peraltro a livello nazionale: dove servirebbe comunque una necessaria alleanza con qualcuno. Scartando per ovvie ragioni grillini e sinistra, chi e cosa garantisce che ne uscirebbe una maggioranza meno ballerina, con un ex partito come Forza Italia che si sta sfaldando sotto le mani del suo ottuagenario padre-padrone, e un partitino come Fratelli d’Italia che fa la concorrenza alla Lega nell’esibire i muscoli ma all’atto pratico conta quanto il vecchio Psdi della prima Repubblica?
D’altra parte, quale sarebbe l’alternativa? Una sinistra che ogni mattina si sveglia inventandosi un nuovo nulla su cui litigare e dividersi? Dubbio davvero amletico, per il povero elettore veneto orfano di riferimenti. Non resta che consolarsi con il Prosecco appena promosso dall’Unesco. Sperando che con l’aria che tira non sappia di aceto.